Dal libro "Isole di cultura"
Rimella/Remmalju -
Walser Gemeinschaft in der Provinz Vercelli
Paesino delizioso, Rimella, disteso con le sue numerose frazioni su un territorio che, naturalmente e geologicamente aspro e selvaggio, nasconde meraviglie di bellezza destando emozioni e stupori sempre nuovi in chi ci vive ancora e in chi, oggi, si avventuri a visitarlo.
Paese anche meraviglioso Rimella, tutto da conoscere a poco a poco per apprezzarne la bellezza che si scopre gradualmente man mano che dal basso del torrente si sale verso le cime da dove lo sguardo può spaziare su ampi panorami dal Monte Rosa e dalle montagne svizzere fino alla pianura lombarda. Tutto da scoprire anche per apprezzare le doti della gente che in lunghi secoli ha saputo valorizzarlo e viverci con un coraggio e una sapienza che ancora oggi possiamo leggere nella solidità delle costruzioni, tutte in armonia con l'ambiente e funzionali all'economia che è stato possibile svilupparvi.
Un paese misterioso che si poteva pensare irraggiungibile non solo nei tempi andati a causa degli impervi e pericolosi sentieri che lo collegavano a Varallo, ma anche, e almeno fino all'immediato secondo dopoguerra, perché la carrozzabile, costruita in tempi diversi durante l'Ottocento, si inerpicava stretta e sconnessa seguendo il corso del Mastallone con una serie allora di strettissime curve, dove era necessario, qualora si fosse incontrato - ma era raro - qualche mezzo di trasporto che viaggiava in senso inverso, operare tutta una serie di manovre per poter proseguire. Era uno spettacolo insieme affascinante ed inquietante. Il paesaggio infatti, selvaggio, misterioso, si presentava in certi punti come un'impenetrabile barriera di scoscese pendici boscose attraverso le quali non si capiva bene come potesse proseguire la strada, che continuava, invece, a svolgersi tortuosa e stretta fra strapiombanti pareti rocciose intagliate nelle forme più incredibili dal millenario corso del torrente, dalla pioggia, dal vento, dal gelo. Poco prima del Gulotto, passava anche sotto un piccola galleria scavata nella viva roccia che, dal Kawal incombente, scendeva precipite fino al torrente stesso. Ma era una vera sorpresa quando, dopo l'orrida bellezza della spaccatura alla Madonna del Rumore, il paesaggio cominciava ad aprirsi ed apparivano ad una ad una le piccole frazioni, a cominciare dal Grondo dove, fino agli anni Sessanta del secolo scorso terminava la carrozzabile e si fermava la corriera, l'unico mezzo che portava e riportava da Varallo gli abitanti delle numerose frazioni. Queste si raggiungevano allora soltanto a piedi o per la schtigu, ardito lavoro di ingegneria viaria e documento ancora oggi della genialità e della secolare esperienza costruttiva del Walser rimellesi; oppure per il più dolce e pittoresco sentiero che passava, e passa tuttora fra splendidi faggi, accanto alla cappella di S. Marco, e permetteva di raggiungere con più agio le frazioni della Villa Inferiore e della Chiesa. Da qui si diramavano i sentieri per tutte le altre frazioni, ma anche per passare, attraverso il Colle della Dorchetta, nella Valle Anzasca o, attraverso la Colma di Campello e la Valle Strona al Lago d'Orta, la Val d'Ossola e il Lago Maggiore.
Geograficamente il territorio di Rimella è situato sui 1000 m. di altezza fra le Valli Anzasca e Ossola a nord, il Monte Rosa ad occidente, la Valle Sesia a sud-est e i Laghi d'Orta e Maggiore ad oriente (cfr. cartina n°1), ed è inciso dai torrenti Landwasser ed Enderwasser che, confluiti alla Madonna del Rumore, si buttano poco dopo nel Mastallone, affluente del Sesia. Il territorio è chiuso da una cerchia di monti anche dirupatissimi, alcuni dei quali contrassegnati solo dai toponimi antichi che i rimellesi sceglievano in base alle caratteristiche dei luoghi: il Sonnenhorn ( Sunnahööru, m. 2161), l'Altemberg (m. 2390), Il Capezzone (Kupšu, m. 2422), il Gratitše (m. 2026), il Capio (m. 2171), Xaštal (m. 2238), il Kawal (m.1887). Lungo le creste di queste montagne si incontrano dei passi che per secoli hanno reso possibile, ma rendono possibile ancora oggi a chi è disposto non solo a camminare ma a salire per erti sentieri, la comunicazione con le vallate viciniori: così Agaatsu (m. 1184) e anche la Res (m. 1419) che assicuravano una rapida comunicazione con la valle di Fobello. Nella Valle Anzasca si passava attraverso il Bachfurku (m.1818, segnato nella cartina topografica di Bauen con la grafia Baxfurku), detto in italiano Dorchetta; lo Strönerfurku (o Bocchetta di Campello, m. 1924) che permetteva la comunicazione con Campello Monti, fondata alla fine del XIII secolo dai rimellesi e da Rimella dipendente fino al XIX secolo. La linea di cresta Altemberg-Capezzone, displuviale fra la Valle del Landwasser e quello dello Strona, fa anche da confine fra la provincia di Vercelli, cui appartiene Rimella, e l'attuale provincia di Verbania, cui appartiene la Valle Strona ad eccezione dell'alpe Capezzone e dell'omonimo laghetto che appartengono invece ancora al Comune di Rimella. Su queste montagne, in luoghi scelti con grande oculatezza nei secoli scorsi, si annidano gli alti alpeggi (cfr. cartina topografica): l'alpe Capezzone (Kupšu, m.1845); l'alpe Biserosso (Bischerush, m. 1718); l'alpe Pianello (Bedemje, m. 1801) e altri più piccoli nella zona orientale; nella zona occidentale sono dislocate l'alpe Scarpiola (m.1400), Pianaronda (m. 1797) e l'alpe di Vegliana già fiorente ma ridotta oggi ad un alpeggio fantasma con le baite tutte diroccate. Oggi soltanto alcuni di questi alpeggi sono ancora "caricati" (ovini, bovini, caprini).
Per le caratteristiche del territorio lasciamo la parola a M. Bauen che, in apertura al suo libro sul dialetto rimellese, così si esprime: "Il territorio di Rimella presenta un aspetto selvaggio dei monti e accoglie, fra le sue altezze e profondità, strette gole rocciose, torrentelli incassati tra ontani robusti, ripide dorsali, erti prati da fieno, tra fitti boschi di faggio, abeti e frassini, e alpeggi ad altezze aeree, spesso faticosamente raggiungibili, situati tra creste rocciose e fasce detritiche. Quasi su ognuno dei ripidi pendii che accenni a pianeggiare e che sia in un certo modo facile a raggiungersi, si trova un piccolo gruppo di case o villaggetto, le cui case si raccolgono attorno ad una cappella più grande, se proprio una chiesa non vi trova posto"2. Un documento del 1828 precisa che le pendenze sono valutate dai 40° ai 45°. Nello stesso documento si osserva come "...sebbene non vi siano vedute particolari non vi è però monotonia nell'aspetto generale del territorio. Le gradazioni dei monti, dorsi, gli angoli salienti e rientranti del territorio, il contrasto della verdura con la nudità delle rocce in estate e del candore delle nevi col nero degli scogli in inverno, non lasciano l'osservatore privo di varie sensazioni"3.
La distribuzione dei nuclei abitativi risulta con chiarezza dalla cartina topografica di Bauen che li distingue in quattro zone: Centro, S. Gottardo (Ä Rund), S. Anna (Erörtu), il territorio del Capezzone. Nella prima troviamo le frazioni cantonali di Grondo (Grund), Villa Inferiore (Niderdörf), Chiesa (Tser Xilxu), Prati (En Matte), Villa Superiore (Dörf), Sella (Šattal); nella seconda S. Gottardo (Ä Rund) e nuclei minori come la Selletta (Šattelte), Wang, Wärch, Wärch di sotto, Bedemje, Emmra, tutte dislocate nella valle dell'Enderwasser; nella terza S. Anna (Erörtu), che si trova nella parte nord del Landwasser, Pianello (En d Äku), Roncaccio Inferiore (In du Niidru), Roncaccio Superiore (In dun Oobru), Riva (Riiwu), S. Antonio (Summertsianu), Tsum Trog, Tsunengo; alla quarta appartengono i passi e gli alpeggi di cui abbiamo già detto.
In questo territorio non facile da addomesticare, spesso ostile e per la configurazione del terreno e per fattori climatici (valanghe, piene, ecc...), è vissuta per oltre sette secoli fino ad oggi una popolazione che con intelligenza, spirito di iniziativa, coraggio e vivo senso religioso della vita4 , ha costruito una cultura e una civiltà che può considerarsi un unicum nella storia delle popolazioni Walser dell'arco alpino. Rappresenta infatti un caso esemplare nella vicenda storico culturale che accomuna i gruppi Walser insediatisi nel Piemonte perché "è riuscita a mantenere intere più a lungo e proprie organizzazioni e i propri caratteri tradizionali" (Sibilla). Oggi Rimella è un comune della provincia di Vercelli, Regione Piemonte, con una popolazione, accertata nel 2001, di 140 residenti, ma gli abitanti stabili sono poco più della metà. Sono cifre che dicono molto sullo spopolamento che affligge questo come altri paesi di montagna. Ma non sempre è stato così. Se consideriamo dati che troviamo in Bauen5 e quelli accertati recentemente nel Comune, possiamo constatare un ritmo crescente di sviluppo dal 1631 al 1831, punto massimo raggiunto a Rimella e il progressivo declino, prima lento poi rapidissimo, della popolazione fino ai giorni nostri. Più in particolare negli anni 1631, 1750, 1783, 1801 e 1831 Rimella contava rispettivamente 904, 800/1000, 1062, 1175, 1831 abitanti; negli anni 1872, 1900, si nota un lento decrescere con rispettivamente 1057 e 1232 abitanti, per scivolare poi molto rapidamente nel 1943, 1971, 1981, 1990, 1995, 2000, rispettivamente ai 362, 287, 276, 211, 160, 147 fino ai 140 residenti attuali. La popolazione è distribuita in 15 frazioni, qualcuna oggi completamente disabitata. 6
In tutto questo ha certamente inciso, oltre l'avvento della società industriale e post industriale, l'emigrazione, fenomeno endemico di Rimella che verrà precisato nel prosieguo di questo lavoro. Qui ci limitiamo a richiamare la preghiera che gli emigranti recitavano alla partenza da Rimella e al ritorno con parole che si leggono ancora alla Madonna del Rumore (Liebu Frouwa tsum Schteg)7:
"Salve patria diletta! In questo giorno
da te partiam. Deh! Vergine pietosa
proteggi i nostri e noi sino al ritorno".
"Torniam , o Vergine santa ed amorosa,
e qui stanchi, facendo breve posa,
di tua bontade abbiamo il cuore ripieno".
Remmalju: die Fraktionen Villa Inf. (Nider Dörf), Chiesa (Chiljchu), Prati (Matte) und Sella (Schattal)
Non si può parlare della storia di Rimella senza citare gli studiosi che per primi hanno contribuito a discutere e anche ad illuminarne momenti significativi. Mi riferisco al canonico Michele Manio (1865-1924), al prof. Luigi Rinoldi (1867-1955), ambedue rimellesi, e al linguista svizzero prof. Marco Bauen (1925-1993).
Il canonico Manio ha pubblicato nel 1905 Parole lette in occasione della solenne distribuzione dei premi agli alunni delle scuole comunali di Rimella il 29 settembre 1905. La piccola pubblicazione, un opuscolo di appena 35 pagine fittamente stampate, costituisce un punto di riferimento più volte citato dagli studiosi, perché nelle Annotazioni e nell'Appendice aggiunte al testo, fornisce una vera e propria messe di notizie storiche sui rimellesi ricavate, come l'autore ci informa, dalla consultazione dei Registri parrocchiali "quelli almeno che ebbero la fortuna di sfuggire all'incendio che distrusse verso la fine del XVII secolo l'Archivio parrocchiale stesso", dalle memorie del Prevosto Cusa [...], da documenti conservati sia presso l'Archivio provinciale sia presso l'Archivio della Curia di Novara oltre che da fonti orali e dalla tradizione..."8. Fra le Annotazioni è rilevante l'affermazione che l'idioma parlato a Rimella "è indizio certo che essa deve la sua origine a popoli di razza teutonica [...] venuti dalla Svizzera e, propriamente dal Canton Vallese, la cui discesa nella Val Sesia non risalirebbe molto avanti il XIII o XII secolo"9, così come il rilievo che la mancanza di documenti anteriori al sec. XVI non permetteva all'autore una esaustiva compilazione degli elenchi di tutti i rimellesi appartenenti allo stato religioso e alle civili professioni se non a partire dal XVII secolo10. Rilievo che, in qualche modo, concorda con l'esigenza, oggi chiara, della necessità di un lavoro interdisciplinare "per approfondire ed estendere capillarmente le ricerche in tanti campi oggi poco o nulla dissodati, su aspetti e momenti della presenza Walser a Rimella [...], soprattutto per fare opera di sutura fra le origini dugentesche e i primi sviluppi trecenteschi di questa colonia, e la meglio conosciuta vicenda dei rimellesi dall'età napoleonica fino ai giorni nostri"11.
Nell'opuscolo del can. Manio il nome di ciascun rimellese citato è corredato da concise note biografiche che gettano luce su molti aspetti della vita e società rimellese dal 1528 al 1900.
Il professor Luigi Rinoldi ha scritto una Storia di Rimella, manoscritto datato 27 marzo 1943. Il lavoro di Rinoldi, a parte la citazione dell'Art.55 degli Statuti valsesiani, si basa su considerazioni di carattere linguistico, tradizioni orali, ricordi personali ed esperienze vissute, ma rappresenta pur sempre un contributo cospicuo alla storia di Rimella12.
Marco Bauen ha pubblicato nel 1978 Sprachgemischter Mundartausdruck in Rimella (Valsesia, Piemont), uscito in traduzione italiana nel 1999, "la prima opera di impianto scientifico moderno dedicata ai colonizzatori Walser rimellesi [...] che sarebbe diventata punto di riferimento indispensabile per i successivi contributi di approfondimento e/o di divulgazione dello stesso Autore sempre in ambito linguistico e di altri studiosi in settori disparati della cultura storica e delle tradizioni popolari rimellesi"13. Libro fondamentale, questo, per Rimella, nato dall'incarico dato a Bauen dal professor Zinsli dell'Università di Berna, per una monografia sulla situazione linguistica di Rimella in cui la sintassi tedesco-rimellese doveva costituire il tema più importante14. Monografia che si è concretata nel qui citato libro, opera giudicata dallo studioso E. Rizzi unica nel suo genere sia perché "era stata scelta Rimella, antichissima comunità Walser, isolata fra le montagne della Valsesia come campo di ricerca o meglio, come straordinario laboratorio linguistico" sia anche per il fatto non trascurabile che l'autore, oltre a conoscere perfettamente le due lingue in contrasto, aveva imparato a parlare il rimellese. Così ancora E. Rizzi nel commosso ricordo di Bauen premesso all'edizione italiana del libro, dove aggiungeva che Bauen in 10 anni di lavoro e prima che il massiccio spopolamento dissanguasse la comunità, raccolse copiose testimonianze dalla viva voce dei rimellesi nati nel XIX secolo, riuscendo a ritrovare brani preziosissimi di dialetto scritto15.
Pur avendo Bauen dedicato il suo lavoro prevalentemente all'analisi scientifica della lingua e al relativo dibattito critico, nell'ultima parte ci propone una serie di informazioni di carattere storico cronologicamente ordinate e distinte in dettagli non datati e presi dalla tradizione prevalentemente orale; dettagli certi e indicazioni attendibili, aspetti geografico-storico-folkloristici, includendo fra le indicazioni attendibili anche l'ipotesi che Rimella sarebbe stata abitata dai Walser prima del 1300, ipotesi molto vicina alla verità storica e solo più tardi accertata dalla scoperta di documenti che Bauen non conosceva ancora ma dei quali sospettava l'esistenza, indicando anche i luoghi nei quali dovevano trovarsi.
Ai sopra citati lavori altri si accompagneranno o seguiranno. Fra questi vanno segnalati gli studi condotti in prospettiva antropologica e di alto valore scientifico del prof. P. Sibilla: Una comunità Walser delle Alpi. Strutture tradizionali e processi culturali, Firenze, Olschki 1980, e I luoghi della memoria. Cultura e vita quotidiana nelle testimonianze del contadino valsesiano G. B. Filippa (1778-1838), S. Giovanni in Persicelo (Bo), Fondazione Arch. Enrico Monti, 1985; ma anche gli articoli rigorosamente documentati pubblicati sulle riviste Lo Strona, De Valle Sicida, periodico annuale della Società Valsesiani di Cultura pubblicato a Borgosesia (No), sulla rivista del Centro Studi Walser di Rimella Remmalju, e il già citato il fascicolo Per una storia di Rimella.
Ma chi erano questi Walser rimellesi? Da dove venivano? Già negli autori citati troviamo che nell'aspro e selvaggio territorio di una valle laterale del Mastallone si era stanziato proveniente dalla Svizzera un piccolo gruppo, divenuto sempre più consistente, di quei contadini pastori di stirpe e lingua tedesca che, nel quadro delle profonde trasformazioni economico-politico-sociali e religiose verificatisi in Europa intorno al Mille, colonizzato il Vallese, avevano dovuto migrare superando il crinale alpino. Che fossero Alemanni era già sicuro per Rinoldi il quale, sfatata la leggenda che si trattasse di gruppi dispersi di guerrieri Cimbri e Teutoni sconfitti da Caio Mario, ricavava quel dato da considerazioni prevalentemente linguistiche (nel Tittschu non esistevano termini che si riferissero ad armi belliche), ma anche dal riferimento, come aveva già fatto Manio e faranno altri, all'art. 55 degli Statuti valsesiani che imponeva a questi "Svizzeri alemanni l'obbligo di prestare giuramento ad ogni nuova potestà e, in caso contrario, "di dover tosto ripartire dalla valle stessa".
Più complessa invece la questione delle motivazioni che hanno spinto i vallesani ad emigrare, della data del loro primo insediamento nella piccole valli dell'Enderwasser e del Landwasser e quella delle direttrici di penetrazione dei nuovi territori. Per quanto riguarda le motivazioni, oggi la critica storica più aggiornata propende per quelle di natura economica, lo sfruttamento cioè e la valorizzazione in aree periferiche di alta quota dei grandi patrimoni ecclesiastici e laici, nel nostro caso il Capitolo dei Canonici di S. Giulio d'Orta, il monastero benedettino di S. Graciniano di Arona, i conti di Biandrate che possedevano, e certamente si contendevano, alpeggi nel territorio di Rimella, già sfruttati precedentemente come pascolo e abitati solo nel periodo estivo.
Per la data dell'insediamento e le direttrici dell'immigrazione va detto che già Manio, Rinoldi e Bauen se ne erano occupati, ma nulla si è potuto affermare con certezza finché, in tempi più recenti "una circostanza fortunata ha consentito di portare alla luce alcune preziose pergamene sulla fondazione di Rimella provenienti dall'Archivio del Capitolo di S Giulio, documenti che fanno di Rimella la più documentata fra le colonie walser"16. A Bosco Gurin è stato scoperto recentemente un documento di qualche anno più antico, ma questo nulla toglie al fatto che oggi siamo in grado di far risalire con certezza la fondazione di Rimella al 1255, certamente una delle date più antiche degli insediamenti walser nell'area Cisalpina avvenuti probabilmente attraverso un processo di piccole migrazioni su una delle quali, quella che ha portato i Walser a Rimella, getta luce una delle pergamene di cui sopra.
Il documento, rogato a S. Giulio d'Orta e datato 11 novembre 1256, è l'atto con cui tre uomini, già insediatisi in quelle terre l'anno precedente nell'alpe Rimella e in due parti dell'alpe Rondo, e cioè Giovanni che fu da Terminen (da cui il più antico cognome dei Walser rimellesi, Termignone, tuttora esistente), Anselmo fu Giovanni de Monte, assieme al figlio Pietro, e Guglielmo fu Ugo de Balma entrano in società con altri uomini di analoga provenienza per lo sfruttamento in 12 quote dei beni avuti in affitto su quelle alpi dal prevosto e dal Capitolo della canonica di S. Giulio e promettono, tutti insieme, di sottoporsi ai fitti, oneri e gravami derivanti da tale investitura e giurano fedeltà al prevosto della canonica. Si può dire, osserva il professor A. Vasina, che toponimi e antroponimi, come ad esempio Pietro di Aimone Deveri, Guebus Alemannus de Simplono (Sempione), in più casi accreditano una provenienza di questi coloni conduttori dal Vallese e una loro penetrazione al di qua delle Alpi lungo la Valle della Toce fino a lambire il Lago d'Orta e risalire per la Valle dello Strona fino a raggiungere i luoghi alpestri [...] sulle pendici dei monti Capezzone, Capio e Kawal17.
Altra direttrice di penetrazione, come ipotizza P. Zinsli in Walser Volkstum in der Schweiz, in Vorarlberg, Liechtenstein und Piemont, Frauenfeld und Stuttgart, Huber 1970, segue la linea Macugnaga-Valle Anzasca-Colma della Dorchetta (Baxfurku-cfr. cartina topografica). Ciò che importa comunque rilevare è il carattere stabile e pacifico dell'insediamento testimoniato, se non altro, dal fatto che i coloni si erano visti riconoscere il diritto di costruire un mulino ad acqua, avvio di quella attività molitoria che caratterizzerà l'economia rimellese fino agli anni Trenta, Quaranta del secolo scorso. La natura pacifica dell'insediamento walser rimellese sembra una costante di questa comunità se in un documento del 1829 troviamo l'affermazione che "la gioventù non si dedica alla guerra e sarebbe atta alla scienza e alle arti liberali se avesse i mezzi per applicarvisi. Nello stesso documento si accenna anche all'opinione di Fassola, che per primo scrisse la storia della Valsesia, il quale attribuisce l'origine di Rimella agli avanzi di Teutoni scampati alla battaglia data a loro dai romani condotti da Caio Mario e si confuta tale opinione prospettando invece l'ipotesi che i Rimellesi siano originari dal Vallese come dimostravano "il vernacolo che vi si parla e le antiche fabbriche che sussistono ancora"18.
Oltre al documento di cui si è detto, una quindicina di altri ci permettono, almeno fino alla conclusione del Trecento, di individuare alcune significative tappe del non facile cammino percorso dai nostri coloni in terre dove all'asperità dei luoghi e alla durezza del lavoro si accompagnavano le conseguenze delle tensioni fra i Biandrate e i Canonici di S. Giulio e non mancavano altri fatti, gravissimi per un'economia di tipo agropastorale, quali razzie e furti di bestiame come quello patito dai Walser rimellesi nel 1260. Dieci anni dopo, comunque, possiamo registrare qualcosa che denota una maggiore stabilità. Nel 1270 infatti un gruppo di coloni, di chiara provenienza vallesana, 4 residenti nell'alpe Rimella (da notare che Rimella inizialmente viene citata solo come uno degli alpeggi esistenti nella valle) e 9 abitanti nelle due parti dell'alpe Rotondo (Rondo nel già citato documento del 1256), si uniscono per meglio definire la dipendenza dalla canonica di S. Giulio mediante il rinnovo, ripetibile ogni 15 anni dai loro eredi in perpetuo, dell'investitura di dette alpi. Rimella compare per la prima volta come unità insediativa delle singole alpi menzionate prima, distinte una dall'altra. Le nuove clausole prevedono "che gli affittuari con le loro famiglie possono abitare nella località di Rimella, costruire case e mulini, pascolare e sfruttare i boschi, dietro un versamento di 9 lire imperiali al Capitolo di S. Giulio nel giorno di S. Martino, per 15 anni; la corresponsione della decima sui prodotti vegetali e animali, secondo la consuetudine delle riviere del Lago d'Orta, di un canone di reinvestitura quindicennale di 20 soldi imperiali e infine, il riconoscimento di essere uomini (homines) sottoposti alla giurisdizione contenziosa e volontaria della canonica di S. Giulio ma non al pagamento del fodro (diritto di ospitalità ai canonici)"19.
Altre tappe importanti sono il 1314, quando Rimella viene ricordata per la prima volta come villa, cioè villaggio, segno questo dello sviluppo anche qualitativo della comunità, e i decenni successivi quando, per la riconferma dell'affitto ereditario dell'alpe Rimella, al posto dei capo famiglia si recano all'isola di S. Giulio due procuratori, eletti dai consoli - che Rimella come altre comunità rurali alpine del tempo era riuscita a darsi - e dai consiglieri e vicini riuniti in assemblea. Segno, questo, di una comunità che si autogovernava e che sarà connotata dall'autogoverno pur nel succedersi in quel territorio di dominazioni diverse: dall'Impero agli Spagnoli, ai Savoia, a Napoleone.
Dalle carte seguenti quella del 1314, risultano le tormentate vicende fra Rimella e il Capitolo dell'isola di S. Giulio e l'ultima testimonianza a noi nota dell'esistenza del Comune consolare a Rimella ancora nel 1394, anche se ridotto ormai a pure funzioni amministrative, come rileva Augusto Vasinaalla fine del citato articolo aggiungendo, a conclusione, che se alla fine del Trecento "si sono vieppiù venuti precisando i lineamenti demico-insediativi ed economico-sociali della comunità rimellese, altri aspetti essenziali della sua presenza storica - ad esempio quelli culturali e religioso-ecclesiali - ci restano tuttora sconosciuti; come del resto ignoriamo ancora il processo di integrazione della comunità walser nel contesto valsesiani fra Medioevo ed Età Moderna. Ma questo è un capitolo di storia locale tutto da riscoprire"20. Riscoperta non facile, aggiungiamo noi, anche a causa degli incendi che hanno distrutto, come abbiamo già visto, la casa prepositurale alla fine del XVII secolo, ma anche successivamente il Municipio con archivi e tutti i documenti nel dicembre 1697, nel 1813 e nel 1960; così come intere frazioni: nel 1818 andò a fuoco Tser Chilcho (Chiesa) tranne l'edificio della chiesa; nel 1853, un incendio distrusse tutte le case, eccetto due, alla frazione Prati, case che poi sono state ricostruite tutte in pietra. Tuttavia contributi di studio apparsi con ritmo crescente sulla rivista Remmalju, ai quali faremo riferimento più avanti, mostrano quale ricchezza di dati e informazioni su importanti aspetti della vita rimellese relativi al periodo fino ad oggi poco documentato, si possono ricavare dalla ricerca negli archivi diocesani, civici, di Stato e parrocchiali, dalle interviste a possibili testimoni, ma in particolare dallo studio di rogiti notarili perché sappiamo con certezza che Rimella è stata un vivaio di notai fin dal Cinquecento e anche prima, come risulta dagli atti notarili relativi agli anni dal 1396 al 1556.
La storia di Rimella si arricchisce di dati e informazioni man mano che si progredisce nei secoli delI'età moderna i cui inizi riman¬gono però tuttora oscuri. Lumi ci vengono dal prof. Augusto Vasina che nell'articolo, del quale riproduciamo di seguito ampi brani, "Note di storia sociale rimellese fra Quattrocento e Cinquecento"21 comuni¬cando i risultati dell'esame da lui fatto dei 44 atti notarili (pergamene) custodi¬ti nel Museo civico di Rimella sotto il titolo "Carte antiche del Museo di Rimella dal 1396 al 1556 "afferma che "la rilettura e trascrizione parziale di queste carte [...] hanno offerto la possibilità di svilup¬pare una serie di considerazioni sullo sviluppo della comunità rimelle¬se fra medioevo ed età moderna vista anche retrospettivamente al con¬fronto di quanto si è potuto ricostruire del suo Duecento e Trecento."
E prosegue: "in linea di massima si può osservare come, a distanza di molti decenni, la popolazione rimellese sia cresciuta in ogni senso sul suo primitivo nucleo caratterizzante di Walser [...]. Risulta aumentato notevolmente il numero delle famiglie i cui indici onomastici in parte confermano un rapporto di continuità coi primitivi insediamenti Walser, in parte, invece, sembrerebbero attestare fenomeni immigratori da ter¬ritori e località finitime e comunque non lontane [...]. Per quanto è dato comprendere si tratta di famiglie numerose di proprietari terrieri, agricoltori e pastori e anche professionisti (ad esempio notai), fra lo¬ro abbastanza integrate da vincoli di parentela e non di rado riunite in consorzi. Su base onomastica [...] vengono definendosi in modo non sempre lineare i cognomi familiari: quelli di famiglie ancora esisten¬ti come, oltre ai Termignone,i Ferrari, gli Ubezzi, i Calzino [...]; e di altre estinte o quasi, almeno nel Rimellese: i Maffioletti, i Fogli [...]. Cresce, dunque, il numero delle famiglie e, assai piú di prima, appare articolata la loro dislocazione in frazioni e presso alpeggi e corsi d'acqua che compaiono per la prima volta nei tempi qui conside¬rati: oltre ai toponimi Rimella e Rondo (o Rotondo), ricordati inizial¬mente come alpeggi, finalmente vengono testimoniate come "ville" anche le frazioni di cui è costituito il comune già operante, come si è visto.nei secoli XIII e XIV, e ora retto almeno da un console ( tale rappre¬sentante della comunità rimellese, identificato in Milano fu Alberto Calzino figura nel 1479...) che esercita il suo mandato in villa Ecclesie (cioè a Chiesa), presso la residenza comunale. Il nucleo più frequente¬mente menzionato nelle carte, soprattutto per le rogazioni notarili, è la villa Ecclesie[...] anche come centro della vita religiosa per la presenza della parrocchiale di S. Michele Arcangelo (a.1517) di un cimitero (a.1431) e pure di una piazza(a. 1526). In proposito non si può non accennare al fatto che in Chiesa (nella frazione, N.d.R.) si concentra l'edilizia più qualificata del paese, con case porticate e loggiati, dove si svolgono le contrattazioni alla presenza di testi e notai che, nel caso del Quattrocento sono in prevalenza di provenienza fobellina [...] mentre, nel '500 sono tutti di estrazione rimellese" .
Sempre dall'articolo del prof. Augusto Vasina apprendiamo inoltre che "accanto a Rondo (= S. Gottardo?), che viene ancora richiamato in queste carte, compaiono nuove frazioni, come il vicus (o viculus) ville Superioris (a.1451, perg. n. 2), Sella (a. 1470. perg. n. 3); Roncaccio (a.1484 perg.n.12); la località Reorte in Castello (a.1517, perg.n.20); Grondo (a.1537, perg.n.32a). In ogni caso l'ubicazione dei beni fatti oggetto di contrattazione( ... ) risulta sempre preceduta dalla formula in territorio Rimelle, da considerare ambito di attuazione del diritto consuetudinario comunale.
Rilevato che, nella documentazione esaminata la località più frequentemente ricordata è Scarampoglio (toponimo che ricorre in almeno 12 carte) e che dall'insieme degli atti notarili esaminati si ricava "uno spaccato della vita comunitaria rimellese nelle sue espressioni individuali e sociali e nelle sue forme materiali", il prof. Vasina A. ci offre un'ulteriore messe di dati che l'economia del presente lavoro non ci consente di riprodurre e per la quale rimandiamo alla lettura diretta dell'articolo stesso, citiamo però la conclusione in cui si dice che "da più segni sembra legittimo affermare che Rimella, pur conservando alcuni dei primitivi caratteri germanici, nel ‘400, ‘500 fece notevoli passi avanti nel processo di ambientamento nel mondo valsesiano.
In questo senso, fra l'altro sembrerebbero deporre da un lato la minore pregnanza walseriana degli antroponimi rimellesi, dall'altro una significativa presenza di toponimi locali di origine germanica".
Nel libro di Bauen sono attestate, come dati certi e indicazioni attendibili, la costruzione (1518) e la consacrazione della Chiesa a Parrocchiale (a.1528), segno della crescita di importanza della Chiesa "in villa Ecclesie" (cfr. A. Vasina, art. cit.), ma ci vengono anche offerti dati sul problema della sepoltura dei morti di Campello che dovevano essere trasportati a piedi, per un pericoloso sentiero, attraverso la Colma (Strönerfurku, 2000 m. di altezza ca.), per essere seppelliti nella Chiesa di appartenenza, cioè Rimella. Tale problema era grave perché i campellesi morti nella stagione invernale dovevano essere congelati nella neve nel lato nord della Strönerfurku per poter essere seppelliti a Rimella solo dopo le scioglimento della neve stessa. Viene risolto, ma solo nel 1551, con la consacrazione del nuovo cimitero di Kampel (Campello), per cui, ci informa Bauen, il 21 aprile della stesso anno viene utilizzato per l'ultima volta il "Töturaschte" detto "Obrun Balme".Dalla stessa fonte veniamo a sapere che l'11 settembre del 1597 infine , Campello viene separato dalla Parrocchia di Rimella ed annesso a quella di Forno (Valstrona). Campello diventerà Comune indipendente da Rimella solo nel 1814.
Le notizie finora citate sulla Rimella del Quattro Cinquecento, alcune delle quali confermate da recenti ricerche negli archivi Diocesano di Novara e civico di Varallo, contribuiscono a creare l'immagine di una comunità viva che, nonostante l'asperità del paesaggio, la durezza di un lavoro faticoso quando non pericoloso, gli ostacoli posti da una economia agro pastorale e da condizioni di vita spesso ai limiti della sopravvivenza, ha saputo, con l'intelligenza, il coraggio, la tenacia e la disponibilità al sacrificio alimentata da uno spirito religioso profondamente sentito di tutti i suoi membri, creare una cultura ricca ed originale testimoniata ancora oggi dal numero, solidità e bellezza degli edifici sacri, in primo luogo la Chiesa Parrocchiale , dalle case ad uso di abitazione come casa Robbo (De Robo) che porta ancora, incisi nel legno di una architrave la data di costruzione (1593), i nomi dei proprietari e il contrassegno di famiglia, unico finora noto di quelle antiche case Walser. Ma ciò che sorprende è il numero delle persone colte che la società walser rimellese è riuscita ad esprimere, come da piú fonti ci viene attestato. I dati documentati infatti si moltiplicano man mano si procede nei secoli dell'età moderna. Così ci risulta che nel '500 Rimella annoverava 24 notai di cui 13 operanti nel paese - ma già M. Manio , negli elenchi elaborati su ricerche d'archivio, enumera un prete rimellese nel '500, tre nel ‘600, una ventina nel ‘700, oltre a notai e causidici (37 di cui 31 operanti fra il 1539 e il 1809), avvocati, medici, veterinari, chimici, farmacisti, capitani, ingegneri [...] scrittori, pittori e scultori tutti operanti fra il Cinquecento e il Settecento.
La citazione di ogni persona, in Manio, è corredata di brevi notizie biografiche che ci permettono di conoscere anche aspetti della vita del tempo e non solo rimellese. Così veniamo, fra l'altro, a sapere che il prete rimellese don Antonio era curato di Ornavasso verso il 1528; che don Carlo Andrea Reale (Riolo) rimellese e parroco di Rimella, Vicario Foraneo, ha fatto costruire un nuovo oratorio alla Madonna del Rumore, iniziato nel 1760 e benedetto nel 1767; che don Domenico Antonio Tosseri, "sacerdote di vasta cultura, di largo cuore e di grande merito", già Parroco della Cattedrale di Novara, ar¬ciprete di Ornavasso e infine Parroco e Vicario Foraneo di Rimella, notaio apostolico, ha ideato e fatto costruire con un contributo vera¬mente eccezionale di lavoro di tutti i rimellesi la nuova, splendida chiesa Parrocchiale (l'attuale) di Rimella. Di don Dom. Ant. Tosseri, primo dei Parroci di Rimella che ebbe il titolo onorifico di Prevosto, abbiamo notizie anche in Bauen , specie per la questione della lingua. Dice Bauen che nel 1771 il Vescovo di Novara "trasferisce don Domenico Antonio Tosseri( .. ) il quale predicava In tedesco, da Ornavasso a Ri¬mella e da quel momento proibisce nel modo più assoluto ai genitori della parrocchia di Ornavasso di insegnare ai loro bambini il dialetto tedesco..." aggiungendo che "fino al 1771 in Ornavasso si predicò esclusivamente in tedesco. In quell'anno il vescovo trasferì da Ornavasso a Ri¬mella l'ultimo prete che si sia servito del tedesco nel confessionale e nella predicazione...". Sembra infatti, come lo stesso Bauen ci informa, che Carlo Felice, re di Sardegna (1821-1831), abbia proibito l'uso dei nomi tedeschi e il dialetto tedesco, il che confermerebbe l'indicazione di Zinsli su Walser Volkstum, che in Rimella la lingua tedesca fu soppressa già nel 1829. C'informa inoltre Bauen che "il 5 luglio del 1788 viene inaugurata la nuova grande Chiesa parrocchiale edi¬ficata in sette anni dagli abitanti del luogo secondo il progetto dell'arciprete don Antonio Tosseri qui trasferito da Ornavasso". Notazione quest'ultima che ci fa riflettere e pensare a quella moltitudine di persone, discendenti dai primi coloni insediatisi a Rimella nel XlII secolo, che non saranno mai citate negli annali della storia ma che hanno reso possibili le alte espressioni artistiche e culturali della comunità rimellese con il loro quotidiano umile e silenzioso lavoro che significava, a Rimella, levate in ore antelucane (tre - quattro), specie nel¬la stagione estiva, cura degli animali, taglio del fieno in luoghi anche dirupatissimi, cura dei piccoli orti e campi dove si coltivava quan¬to era possibile a quell'altitudine e necessario al sostentamento quotidiano (molto parco), sfrondatura degli alberi frassini in particolare- percorsi per impervi sentieri , i soli che allora rendevano Possibili le comunicazioni .
Il che non ha impedito a questa gente, sia pure condizionata dall'asperità del luogo ma saldamente unita dalla comune fede cristiana e dal vincolo della lingua parlata indistintamente da tutti, uomini, donne e bambini fino all'immediato secondo dopoguerra, di essere autosufficiente, ben organizzata oltre che sensibile al bisogno di istruzione e di scuola.
Due altre figure di rimellesi vanno citate infine: padre Filippo Reale dei frati Minori francescani, uomo dottissimo e versato nelle discipline sia filosofiche che teologiche, oratore di grido e vigoroso polemista, specie contro i giansenisti, e Giovanni Battista Filippa, fondatore del Museo di Rimella che ancora oggi porta il suo nome ed è, in assoluto, il primo Museo civico della Valsesia.
Padre Reale, oltre che per l'intensa partecipazione alla vita della Chiesa e della società del suo tempo si ricorda anche per l'orazione in onore di S. Gioconda da lui pronunciata a Rimella nel 1790, in occasione del trasporto alla Chiesa prepositurale delle spoglie della Santa Martire, compatrona del paese e ancora oggi molto venerata. L'orazione fu pubblicata nelle stesso anno in un opuscolo che nel frontespizio porta un'indicazione per noi di un certe interesse. Vi si dice infatti che è stata "recitata dal Padre Lettore Filippo di Rimella (...) sul chiudersi del solenne triduo celebrato il dì 27, 28, 29 di giugno a spese de' divoti consorti rimellesi abitanti in Novara ed in Vigevano ... "La citazione richiama il tema delle confraternite e sodalizi esistenti e operanti in Rimella, ma anche fuori, fra gli emigranti rimellesi nel nostro caso quelli di Novara e Vigevano appunto.
Ora, poiché non è possibile in questa sede procedere ad approfondimenti più ampi della storia rimellese nell'età moderna, noi scegliamo di chiudere questa breve rassegna proprio con il tema "confraternite", che richiama in qualche modo anche quello dell'istruzione e della scuola, utilizzando, nell'esposizione soprattutto i risultati delle ricerche che Rina Dellarole Cesa ha pubblicato su Remmalju anche se importantissimo rimane il lavoro, sviluppato in chiave antropologica, del prof. P. Sibilla . Ricerche d'archivio condotte con crescente frequenza in tempi recenti su importanti aspetti di Rimella nell'età moderna contribuiscono a mettere in evidenza la solidità sociale e la ricchezza, specie culturale, del paese allora densamente popolato persistendo la modestia dell'economia, da cui l'emigrazione cronica , e la difficoltà e pericolosità delle comunicazioni con l'esterno specialmente nella stagione invernale. Parlando del passato, una persona intervistata dal dott. Remogna ha detto: "Erano tempi in cui c'era più povertà e di un pane la gente era contenta" - povertà, ripetiamo, che non ha impedito ai rimellesi di curare l'istruzione - specialmente nel Settecento - e di provvedere capillarmente (cura dei luoghi di culto, costruzione o ricostruzione in pietra abili costruttori quali erano delle abitazioni) alle necessità materiali ma anche spirituali della gente che allora popolava le frazioni ed era numerosa , come testimoniano i dati statistici pubblicati dal can.co Manio e dal prof. Bauen rispettivamente nel 1905 (dati dal 1631 al 1831) e nel 1978 (con dati dal 1631 al 1971. Da Manio (op. cit. pag. 31) risulta che nel Settecento le famiglie erano 200 con 874 abitanti nel 1715, e 214 con 1062 ab. nel 1703, numero che nel 1801 diventa di 1175 unità, con un crescendo rilevato anche da Bauen su dati forniti dalla Segreteria comunale di Rimella, dai quali risulta che nel 1750 il numero oscillava fra gli 800 e i 1000 abitanti, saliva ancora a 1062 nel 1783 e a 1381 (punto massimo raggiunto) nel 1831, per poi scendere progressivamente ai 362 abitanti del 1943, ai 320 del 1971 e crollare, aggiungiamo noi, ai 140 residenti del 2001.
Nell'età moderna , soprattutto nel Settecento , in questa Rimella così popolata si studiava e numerosi, ben organizzati sodalizi, funzionavano sia nel campo della spiritualità che dell'assistenza, come possiamo desumere oltre che dalle ricerche della citata R. Dellarole Cesa, anche da quelle di S. Bruno sulle visite pastorali compiute a Rimella dai vescovi Mons. Taverna, Mons. Balbis Bertone e da Mons. Morozzo Della Rocca, rispettivamente nel 1617, 1760 e 1821 Dagli atti relativi apprendiamo che Rimella era una "cura sparsa" con "curato bono", e "populo bono", abitata da individui appartenenti al ceppo walser , "theutonici", e che una parte degli uomini era in grado di comprendere l'italiano (visita Taverna 1617). Notazione questa che ci rimanda al fenomeno dell'emigra¬zione, intensa specie nei mesi da marzo a ottobre che, se metteva gli uomini a contatto con il circostante ambiente neolatino, faceva gravare tutto il peso dei lavori e la cura della famiglia sulle donne, le quali invece conoscevano soltanto il "tittschu" idioma dei primi coloni walser.
Apprendiamo inoltre, fra le altre interessanti informazioni che gli atti delle visite pastorali ci forniscono su molteplici aspetti della vita quotidiana a Rimella, l'importanza della "consuetudine plurisecolare e propria dei paesi di campagna e di montagna del prete cappellano o parroco-maestro di scuola, di lettere e di principi cristiani, estesa a giovani non necessariamente avviati al sacerdozio" . Per i rimellesi l'acquisizione di un livello almeno elementare di alfabetizzazione costituiva un elemento irrinunciabile nella formazione dei giovani, destinati in maggioranza ad intraprendere la via dell'emigrazione, e pertanto bisogno¬si di saper leggere e far di conto per poter svolgere adeguatamente il proprio mestiere, spesso di tipo artigianale e altamente qualificato, ed essere in grado di comunicare per iscritto con le famiglie rimaste in patria. A questo provvedevano sia le lezioni di Dottrina Cristiana che si svolgevano "esclusivamente nei pomeriggi festivi del pe¬riodo compreso tra S. Michele (29 settembre) e le Calende di maggio", nonostante le precarie condizioni delle vie di comunicazIone durante l'in¬verno", sia il Cappellano. Fin dagli inizi del Settecento infatti, una parte delle offerte e donazioni degli emigrati fu destinata "al mantenimento del cappellano titolare del beneficio laicale posto sotto il titolo di S. Michele. al quale competevano gli obblighi di confessare, di celebrare la Messa festiva 'in aurora', e di fare ‘schola gratis a sei figlioli da nominarsi dalla detta Comunità per sei mesi in ciascun anno' , scuola gratuita che già nel 1760 risultava aperta anche ad alunni "a pagamento". Da questi dati risulta l'importanza del ruolo non solo re¬ligioso ma anche formativo dei parroci e cappellani di Rimella i quali si dimostrarono all'altezza del compito col fornire "accanto alla generale preparazione di base, anche una formazione culturale più approfondita per i giovani destinati alla professione notarile e alla carriera eccle¬siastica". Dobbiamo aggiungere però che spesso i sacerdoti maestri di Ri¬mella avevano studiato, oltre che al Seminario di Novara, anche in altri centri di cultura superiore. Così il cappellano Giuseppe Antonio Colombo nato a Rimella nel 1710, che aveva frequentato i Corsi di Lettere, Retorica e Teologia speculativa presso la Regia Università di Torino; così il parroco Carlo Andrea Reale, nato nel 1704, che si era formato a Casale Monferrato.
Quanto sopra detto mentre da un lato spiegherebbe l'alto numero di persone colte vantato da Rimella in età moderna, dall'altro mostra come pur nelle difficili condizioni ambientali, Rimella non è del tutto una realtà isolata dal resto del mondo, ma è con questo in un contatto spesso fecondo di conseguenze positive.
Le visite pastorali ci offrono anche notizie sulle Confraternite. Così sappiamo che nel 1617 (visita pastorale di Mons.Taverna) era attiva in Rimella la Confraternita di S. Spirito che "disponeva di terreni che producevano dieci staia di segale all'anno" e che " i priori passavano di casa in casa per raccogliere le generose elemosine in natura..." e che "il ricavato complessivo veniva utilizzato per cuocere, il giorno dell'Ascensione, i pani da distribuire ai poveri del luogo e ai forestieri e ai cosiddetti "vicini" cioè ai membri della comunità... ".
Notizie più ampie su tali sodalizi si trovano nella relazione sullo stato e amministrazione dei Luoghi Pii del Comune di Rimella che nell'anno 1728 il notaio rimellese Alberto Colombo ha presentato, su richiesta, al Gran Pretore della Valsesia. Da esse appare la partecipazione della gente alla vita del proprio paese come attestano le attività delle confraternite come quella del SS. Sacramento ad es. e il funzionamento degli Oratori.
Più in particolare, sia la Confraternita del SS. Sacramento, canonicamente eretta sin dal 1625, che gli Oratori hanno propri organi di funzionamento: per il SS. Sacramento, un tesoriere, un priore e altri ufficiali che vengono cambiati ogni due anni, che amministrano i beni e sono tenuti ad un rendiconto annuale "davanti al curato e ai confratelli vestiti dell'abito turchino; per la "Carità antica dei poveri", un procuratore che annualmente dà conto dell'amministrazione davanti al parroco e al popolo della Chiesa parrocchiale, e da un collettore delle elemosine; per gli Oratori i procuratori tenutari delle Ville (frazioni) che ogni anno, a rotazione, si cambiano e i conti, dati alla presenza di tutti i terrieri, vengono riconosciuti approvati e sottoscritti dal curato del luogo. La relazione del notaio Colombo precisa inoltre che "le elemosine si spendono a beneficio e decoro di essi Oratori nei quali si celebra (ancora oggi, aggiungiamo noi) messa ogni anno nella festa del santo titolare e nelle rogazioni e alcune altre volte nell'occasione della somministrazione dei sacramenti agl'infermi e a richiesta di qualche persona devota."
Gli Oratori, distanti "in parte mezzo miglio, in parte un miglio e parte due dalla parrocchia" sono posti sotto diversi titoli e invocazione dei santi e così dislocati:
1) nella Villa Inferiore la Madonna della Neve
2) nel Roncaccio Inferiore la Madonna delle Grazie
3) nel Roncaccio Superiore la Visitazione di S. Maria ad Elisabetta
4) sopra il Pianello e Villa del Molino le Vergine Santissima dell'Annunziata
5) sopra la Villa del Toso (?) la Vergine Assunta
6) nel Graziano S. Martino e Sant'Antonio da Padova
7) nel Grondo S. Marco e S. Ambrogio
8) nella Villa dei Prati S. Nicolao
9) nella Villa Superiore S. Bernardo
10) nella Villa della Sella S. Quirico
11) nella Villa di Rondo S. Gottardo.
Il discorso sulle Confraternite e gli Oratori ci pone di fronte ad attività di particolare valore per capire le radici e la natura del governo del paese caratterizzato da autonomia decisionale e amministrativa e da quella interazione di autorità civile ed ecclesiastica che perdureranno ben oltre l'età napoleonica e che in Rimella, a causa del particolare isolamento, risultano particolarmente accentuate rispetto alle altre Comunità della Valsesia. La vita del paese, come ci informa il professor Sibilla, era regolata dalle decisioni che le "vicinanze" prendevano nelle rispettive frazioni in pubbliche assemblee normalmente aperte ad ogni adulto del gruppo, ma di solito precluse agli esterni, che avevano luogo nella piazza antistante l'oratorio ed erano preannunciate dal suono della campana. Tutti avevano facoltà di parola anche se le decisioni ultime spettavano solo ai terrieri. Questi a loro volta eleggevano un Tesoriere dell'Oratorio che rimaneva in carica un anno e che poteva essere riconfermato. Ad evitare che una famiglia detenesse troppo a lungo i poteri, la prassi prevista dalle norme tradizionali imponeva che si seguisse un principio di rotazione o perlomeno di alternanza, prassi seguita ancora oggi per la cura degli Oratori dai pochi rimasti ad abitare nelle frazioni. Erano eleggibili solo i maschi che avessero dato prova di probità e di perfetta conoscenza delle norme consuetudinarie e dei regolamenti riguardanti le materie di interesse pubblico. Ancora nei primi decenni del Novecento il potere locale delle vicinanze, legittimato dalla tradizione e dal consenso sociale, veniva congiuntamente esercitato dai "terrieri capi famiglia" detti "consorti" che si riunivano ancora sempre in assemblea pubblica sulla piazza davanti all'Oratorio oppure dentro in caso di maltempo o nella stagione invernale. Durante la stagione del ciclo agrario le riunioni si tenevano in scadenze fisse, ma in occasioni straordinarie o di particolare urgenza erano convocate al suono della campana. Le materie trattate erano molteplici e talvolta motivo di contrasti anche gravi contenuti però, se non superati, in un "gruppo corporato chiuso" come Rimella dove nessuno poteva presumere di condurre un'esistenza individuale separata dagli altri. La stessa realtà ambientale, osserva il prof. Sibilla dal quale vengono tratte tutte queste informazioni, imponeva l'aggregazione di tutte le forze disponibili, soprattutto nel passato, in cui l'isolamento del paese sembrava un fatto insuperabile. Le decisioni ordinarie riguardavano l'organizzazione generale della vita della frazione, l'uso delle acque, la definizione del carico delle prestazioni personali da dedicare al lavoro collettivo indispensabile per la manutenzione delle mulattiere e dei sentieri e per la spalatura della neve praticata soltanto nelle strade cosiddette "mortuarie", cioè quelle che erano tradizionalmente considerate sicure da possibili insidie del male ed erano percorse dai cortei in occasione di battesimi, matrimoni e funerali.
Nelle assemblee di vicinanza si prendevano misure di prevenzione della devianza (rara nella società rimellese) e a sostegno delle persone più deboli come anche per l'istruzione dei giovani. Tutto ciò era reso possibile dall'esistenza di un fondo patrimoniale, attribuito all'Oratorio, costituito da lasciti e legati di piccoli boschi e appezzamenti di terreno che, dati in affitto, consentivano di provvedere con il ricavato a modeste opere di recupero e di conservazione dei beni collettivi oltre che a sopperire ai bisogni delle persone più deboli e degli anziani in difficoltà. Il tesoriere, annualmente eletto dai consorti, era direttamente responsabile del funzionamento dell'Oratorio dedicato ad un Santo particolarmente venerato nella frazione; doveva inoltre tenere i registri contabili e incrementare sia i beni che il numerario. Ad aumentare le disponibilità finanziarie contribuiva anche la consuetudine, ancora oggi praticata, di mettere all'asta, dopo la messa, fuori della chiesa le "offerte in natura" recate dai fedeli in occasione della "festa" in onore del Santo Patrono della frazione.
Economia di sussistenza, perdurante flusso migratorio e problematiche quando non pericolose condizioni di viabilità che caratterizzano la vita rimellese del Sei Settecento, costituiscono lo scenario di fondo della storia di Rimella nell'Ottocento e buona parte del Novecento . Da recenti ricerche possiamo ricavare notizie utili per definire, quella rimellese, un'economia di sussistenza fino a tutta la prima metà del Novecento e poco oltre. Essa appare fondata in primo luogo sull'allevamento del bestiame e la lavorazione dei prodotti animali, in particolare l'attività lattiero casearia attuata con tecniche e modalità che si protraggono quasi invariate nel tempo fino al XX secolo inoltrato. Segue la coltivazione, dove possibile, dei cereali - fra i quali la segale sembra fosse meno rara fino all'Ottocento - oltre ai legumi e ortaggi coltivati allora, come ancora oggi, nei piccoli orti ricavati a fatica dal terreno adiacente o vicino alla casa di proprietà. Importantissimi in questa economia fino a tempi molto vicini, la cura dei prati, lo sfalcio dell'erba, la sfogliatura degli alberi, in particolare frassini, e la raccolta delle foglie secche di faggio. Fino a non molto tempo fa il paesaggio era caratterizzato da ampi, anche se ripidi, prati curatissimi, oggi sostituiti dai boschi che avanzano in stretto rapporto con il calo della popolazione.
Di fronte all'invarianza dell'allevamento e della produzione lattiero casearia, sono le culture e conseguentemente il modo di alimentarsi che cambiano invece con l'introduzione (XVII-XVIII secolo) della patata che i rimellesi coltivano ancora oggi in piccoli appezzamenti di terreno. Quanto altro era necessario all'alimentazione (mais per la polenta, sale, riso) doveva essere importato dalla pianura, da Varallo in primo luogo. Varallo che a quei tempi si raggiungeva con 6 ore di cammino per sentieri anche molto pericolosi e sotto l'incombente minaccia di valanghe nella stagione invernale e di alluvioni sempre. Le merci di scambio per la Rimella di allora erano "butirro, formaggio, cuoi, e vitelli piccoli nati da pochi giorni" come ci informa la relazione che nel 1828 il notaio Michele Cusa ha redatto per la Vice-Intendenza di Varallo. In detta relazione risulta inoltre che "la lana si fila in paese e per la massima parte in panno grossolano detto mezzalana che serve a vestire molti individui d'ambo i sessi del paese". Interessanti anche le notizie sulla popolazione che "alla fine del 1817 era di anime n°1035. I maschi nati nel decennio compreso fra il 1° gennaio 1818 e tutto Xbre 1827: n°218; morti 118; eccedente: 100. Femmine nate in detto decennio: n°192; morte 142; eccedente: 50. Eccedente totale: 150; totale al termine del 1827: anime 1185". Rileva inoltre il Cusa che un buon terzo degli uomini dai 14 ai 50 anni emigra a Novara e Vercelli per esercitare le professioni di "oste, bottigliere, cuoco, cameriere e brentatore" mentre muratori e falegnami, "onde supplire alla mancanza di prodotti indigeni e pel mantenimento delle loro famiglie", lavorano a Fobello e a Campello. Cusa attribuisce l'aumento della popolazione di Rimella in quel tempo al fatto che l'emigrazione era diretta verso luoghi vicini o relativamente vicini al paese. Sottolinea però anche due fatti che rafforzano l'idea di Rimella come comunità ordinata e solidale: il buon costume e l'economia di molti abitanti, l'indole pacifica specie dei giovani che sarebbero adatti, dice, agli studi se avessero i mezzi per applicarvisi, e il fatto che le persone d'ambo i sessi sanno quasi tutte leggere e scrivere. Una società quindi - se si eccettua "qualche piccolo furto di piante, di commestibili, o altri piccoli oggetti e qualche risse senz'armi, casi che in un decennio non superavano la ventina" - ordinata e solidale i cui abitanti, in particolare le donne, avevano una decisa inclinazione al lavoro. Alla voce arte e mestieri si ricordano in Rimella due sacerdoti, un diacono, un notaio, un pittore pensionato di S.M. a Roma e, passando agli artigiani, 30 muratori, 20 falegnami, 4 sarti, 2 tessitori e 1 calzolaio senza contare le persone impegnate nei 4 mulini del cantone Grondo, due dei quali a 2 macine e tre a una sola. Un'economia di sussistenza che si trasmette pressoché immutata nel tempo oltre che per la tipologia dei territorio, in buona parte improduttivo, per le pessime condizioni della viabilità dovute, come già detto, a valanghe e inondazioni, ma anche a frane e smottamenti. Nel 1837 un primo tratto del percorso che collegava Rimella a Varallo fu trasformato in sterrata utilizzabile anche per il transito dei cavalli, ma solo nel 1866 venne aperta al traffico la prima carrozzabile nel tratto Varallo-Baraccone, e verso la fine del secolo nel tratto Baraccone-Grondo, la prima frazione del paese che rimase capolinea del percorso per oltre mezzo secolo. Nell'immediato secondo dopoguerra fu progettato e lentamente, ma molto lentamente, costruito il tratto tra Grondo e Chiesa, che fu raggiunta il 14 luglio 1869 per proseguire poi, diramandosi, fino a toccare tutte le frazioni, eccetto S. Anna, dislocata nella parte alta del corso del Lanwasser. Oggi la strada c'è, ma la gente non c'è quasi più.
Sul finire del Settecento l'età contemporanea si apre dunque con una Rimella popolosa, abitata da gente che si autogovernava con le strutture civili e religiose di cui si è già parlato, dotata di una chiesa fra le più belle se non la più bella della Valsesia, di numerosi altri edifici sacri, testimonianza delle spirito religioso dei rimellesi ; di scuole funzionanti, oltre che di uno strumento culturale eccezionale per quei tempi, il Museo G. B. Filippa.
Vivaci anche l'attività agro pastorale, seppure insufficiente a sostentare tutti, base dell'economia del paese, e quelle artigianali - al Grondo funzionavano segherie e mulini - e commerciali in loco e fuori , le vie di comunicazione inadeguate, spesso pericolose, alto il tasso di emigrazione nei paesi vicini e all'estero, ben distribuite nelle diverse frazioni case e casere, vero monumento alla sapienza costruttiva e al buon gusto della popolazione, le quali ancora oggi contribuiscono ad ingentilire un paesaggio dal punto di vista geologico aspro e selvaggio.
Il periodo qui considerato si chiuderà, invece, sul finire del XX secolo con un'immagine del paese di tutt'altro segno, caratterizzata dallo spopolamento, dalla chiusura delle scuole locali e da altri fenomeni che già Bauen negli anni '70 aveva osservato e descritto .
Consacrando nel 1788 la nuova parrocchiale il vescovo di Novara mons. Balbi Bertone usò l'appellativo di "basilica" nel presentare la nuova chiesa. Ricca di preziose opere in marmo e in legno, e di pitture. Nel 1862 la chiesa fu dotata di un organo costruito dai F.lli Mentasti di Novara, recentemente (1997) fatto restaurare dall'infaticabile e benemerito parroco don Giuseppe Vanzan col contributo finanziario della Soprintendenza per i Beni Artistici e Ambientali di Torino (£. 50.000.000) e di fondi raccolti con le offerte della Comunità di Rimella (£. 30.000.000).
Tralasciando altri particolari sul valore artistico della costruzione , noi qui vogliamo sottolineare ancora una volta lo spirito religioso del popolo rimellese che ha contribuito col lavoro di tutti e con altri mezzi alla sua realizzazione, così come a quella degli altri edifici sacri, Oratori, cappelle e cappellette costruiti tra il Sei-Settecento e sparsi nelle diverse frazioni e lungo i praticati sentieri: una specie di "Biblia pauperum" sia per le numerose scritte di invocazione sia per il richiamo ai testi sacri i quali, anche se riprodotti in latino, erano compresi dalla gente che ne conosceva il significato avendolo chiarito durante le lezioni di catechismo, a scuola, durante le sacre funzioni in chiesa e anche nella propria famiglia essendo l'analfabetismo a Rimella cosa rara. Rimandando a più oltre un discorso sul Museo, diremo qui che a Rimella le scuole allora c'erano e funzionavano.Sul tema disponiamo di informazioni ricavate da un articolo di A. Lovatto che riproduce integralmente un documento stilato nel 1829 dal notaio rimellese Michele Cusa; da un articolo di M. Remogna e da quello di F. Vercellino, apparsi rispettivamente su Remmalju 1999, 1995 e 1994. Dal documento Cusa, pubblicato da Alberto Lovatto, sappiamo che a Rimella "vi è una scuola in cui si insegna il leggere, lo scrivere, la lingua italiana, gli elementi dell'aritmetica e della latinità. Essa è frequentata da 40 e più fanciulli che fanno progressi a vista d'occhio, ed è diretta dal signor Gio. Ubezzi che ha fatto plausibilmente il suo corso di filosofia. Se si dicesse che al presente la scuola di Rimella non invidia nessuna di quelle della Valsesia né per il metodo né per la direzione né per l'ordine e la stessa simmetria estrinseca, non si farebbe nessuna esagerazione ". Questi dati rispecchiano la situazione nel 1828.
Dall'articolo di Remogna, ricchissimo di altri dati, stralciamo e ripro¬duciamo, citando liberamente, solo alcune informazioni . Su questa base veniamo a sapere, che i bambini a S. Gottardo erano 29 "tutti in una stanza", che si scaldavano con la legna del comune che i genitori tagliavano e portavano a gerle, a turno; che la "maestra era Teresa Cusa, che era brava e che poi andò a fare da perpetua a don Vasina". Veniamo informati inoltre che "la scuola era rurale, istituita dal Comune con il contributo statale" e che nel 1927 i ragazzi si ritenevano fortunati di avere "un maestro 'vero' cioè diplomato[...], mentre ai tempi dei [...] nonni l'insegnamento era impartito per lo più da donne volonterose autorizzate ma non diplomate (uso corrente nelle zone rurali). Il catechismo (chiamato "dottrina") veniva insegnato dal sarto Rinoldi e da pie donne, spesso di sabato, stando a gruppi in Chiesa , davanti ad un altare, con una verifica successiva del Parroco".
Ultimo rilievo, già da noi riportato, ma confermato da statistiche relative alla metà del XIX secolo e contenute in un quaderno manoscritto esposto al Museo Filippa: "le persone d'ambo i sessi sanno quasi tutte leggere e scrivere".
Più in generale e considerando la vita del paese nella sua globalità, possiamo notare che l'avvicendarsi nel Sette-Ottocento di dominazioni diverse - i Savoia, la Francia rivoluzionaria e napoleonica e ancora il Regno Sardo, poi Regno d'Italia - non sembra abbia inciso sensibilmente sul tradizionale sistema di vita rimellese. Qualche traccia di quelle dominazioni è conservata ancora nel Museo di Rimella e trapela da uno dei racconti in tittschu pubblicati da Bauen che narra di una tassa sul sale e di una ribellione del popolo espressa con l'issare "un berretto rosso in cima ad un bastone". Il re, per questo, avrebbe dato l'ordine di "mettere a ferro e a fuoco il paese", ordine fortunatamente non eseguito.
Ma i nemici più pericolosi per Rimella erano il fuoco e i fattori meteorologici: l'acqua e la neve. Nell'Ottocento si verifica infatti un numero impressionante di incendi, di alluvioni e di valanghe. Gli incendi distruggono il municipio (1813) -già andato a fuoco una volta nel 1697- con tutti gli archivi e intere frazioni - Chiesa nel 1818 e Prati (En Matte) nel 1853 -distruggendo nel contempo documenti e le antiche case walser costruite col sistema blokbau in legno su una base di pietra. Gravi anche le alluvioni. Memorabile quella del Landwasser del 27 agosto 1834 che ha minacciato di distruggere l'intera frazione Grondo. L'alluvione del 1880 ha spazzato via in località ai Molini (Tse Mijene) un intero gruppo di case walser poi ricostruite in pietra, e quella del 1900 ha distrutto il ponte costruito forse 400 anni prima in località detta "delle due acque" perché alla confluenza del Landwasser nel Mastallone. Rimane sempre incombente il pericolo delle valanghe dal tardo autunno all'inizio della primavera. Alcune sono rimaste memorabili sia per il volume della neve caduta sia per le vittime provocate, come ad esempio quella, testimoniata da sei croci di ferro, due più grandi e quattro piccole, alla frazione Prati. Caduta in un imprecisato inverno anteriore al 1861 ha causato la morte di un'intera famiglia. Lungo i sentieri praticati dai rimellesi fino a qualche decennio fa, si incontravano molte di queste croci a ricordo di morti tragiche avvenute. E la serie dei casi più gravi sarebbe lunga. L'inverno del 1887/88 ad es. rimarrà negli annali della meteorologia per la durata, la frequenza e la quantità della neve caduta. Non ci sono state vittime ma Rimella, che allora contava più di 1000 abitanti, rimase per lungo tempo completamente isolata. In tempi più vicini a noi, nel 1973/74, si è calcolato che la neve caduta complessivamente fra il tardo autunno del '73 e la primavera del '74 abbia superato nella frazione di S. Gottardo gli 8 metri di altezza; osserviamo però che da allora il fenomeno si è progressivamente attenuato. Fenomeni che non sono senza conseguenze per l'economia del paese a definire la quale può essere utile il giudizio espresso nel 1840 da un osservatore esterno: "la produzione del suolo, scarsamente irrigato da fontane e ruscelli, non sono che boschi, pascoli, fieno e patate. Di commercio non havvi che risparmi del prodotto del bestiame". Ma allora "c'era più povertà e di un pane la gente era contenta".
La modestia dell'economia che perdurava nonostante la costruzione della nuova strada Varallo-Rimella, non ha impedito comunque ai rimellesi di avere nell'Ottocento scuole elementari funzionanti in ben 3 frazioni - a Chiesa, S. Gottardo e S. Antonio - con 4 classi e di istituire nel 1837 la classe V; e neppure di provvedere nel 1862/63 alla sostituzione nella chiesa parrocchiale del vecchio, deteriorato organo con uno nuovo costruito dai F.lli Mentasti di cui abbiamo detto . Così non ha impedito la prosecuzione di un'intensa attività edilizia (conservazione, ristrutturazione o costruzione di ponti, case ed edifici sacri) affidati in prevalenza a mastri costruttori rimellesi. Nell'Ottocento continua l'emigrazione maschile diretta anche all'estero ma va detto, come osserva Remogna, che se la maggioranza della popolazione ricavava ancora di che vivere dalla modesta proprietà agricola e dalla lavorazione dei prodotti lattiero caseari, una voce sia pur magra del bilancio della famiglie riguardava proprio l'emigrazione maschile. Essa oltre che di mettere a frutto le abilità di muratori, boscaioli, minatori, proprie dei rimellesi, di svolgere altri mestieri come brentatori, osti, camerieri, permetteva di offrire, individualmente o associati, un consistente apporto economico non solo alla famiglia ma anche all'educazione dei giovani, al restauro e abbellimento dei luoghi di culto e alle opere di carità. Questa era un'altra voce importante dell'economia dei rimellesi che per lunga tradizione si prendevano cura dei vecchi e dei membri più deboli della comunità. Parecchi erano i rimellesi affetti da menomazioni fisiche o psichiche, forse anche a causa dell'endogamia diffusamente praticata ma anche della pericolosità del lavoro e dell'ambiente.
Concludendo possiamo dire che anche il XIX secolo si chiude con un quadro di Rimella tutto sommato positivo per popolamento, autogoverno, ordine e coesione interna, ma si chiude anche con un avvenimento eccezionale: la visita della Regina d'Italia Margherita di Savoia. La cronaca dell'avvenimento ci è tramandata da un foglio di semplice quaderno di scuola manoscritto e conservato nel Museo di Rimella. La descrizione ci presenta un paese in festa che riceve la sua Regina alla Madonna del Rumore sotto un arco di fronde e fiori, con un coro di 60 ragazze vestite con il bellissimo costume locale. La Regina viene poi accompagnata alla frazione Chiesa per l'incontro ufficiale con la popolazione.
Tenendo presente che i temi dell'emigrazione, della viabilità e comunicazioni, delle case di abitazione, sono diffusamente trattati sulla rivista Remmalju e nelle altre opere da noi già citate, passiamo ora a considerare Rimella nel XX secolo fino agli ultimi decenni che è storia, o meglio cronaca, della comunità rimellese attuale.
Il secolo XX si apre con un'immagine positiva del paese ma si chiude con un quadro di tutt'altro segno anche se non privo di luci di speranza per la volontà di pochi, coraggiosi e intraprendenti, impegnati a fare quanto possibile per la rinascita del paese a partire dal salvataggio della lingua e della cultura, che è quanto dire dell'identità del rimellese, in forme e modi già in atto e altri tutti da inventare. Questo a dispetto dell'indifferenza indotta, specie nei giovani, dal processo mediatico di omologazione che conduce al disinteresse per la politica e per la partecipazione attiva ai problemi della comunità diffusi nella società odierna e proprio l'opposto di quanto praticato nei secoli dai Walser rimellesi.
Il paese continua, almeno fino all'immediato secondo dopoguerra, come un'isola non solo dal punto di vista linguistico (il tittschu è ancora universalmente parlato) ma anche sociale, con un'amministrazione regolata dalle leggi dello Stato ma anche, specie per quanto riguarda l'economia agro-pastorale, dal preesistente secolare diritto consuetudinario. Questo suo carattere di comunità "separata" e non facilmente accessibile, ha fatto sì che gli eventi di portata nazionale ed internazionale della prima metà del Novecento, incluse la crisi degli anni Trenta, non abbiano intaccato ritmi di vita ed un'economia che sia pure ai limiti della sussistenza e nella condizione geofisica molto aspra che conosciamo, continuava a basarsi sulle modeste risorse locali con tecniche e mezzi collaudati da secoli. Questo almeno fino al 1944 quando la popolazione stessa del paese si è trovata direttamente coinvolta negli eventi bellici. In seguito, "l'avvento della civiltà industriale e la dissennata penalizzazione dell'attività agro-pastorali hanno condannato Rimella [...] ad uno spopolamento ben diverso da quello dei secoli scorsi e che ha avuto caratteri drammatici"57 resi evidenti soprattutto da un segnale: la chiusura negli anni Novanta "causa denatalità e alti costi" prima della Scuola Media poi delle Elementari già così fiorenti nel paese.
Attualmente i bambini abitanti stabili a Rimella sono tre, due in età scolare e un infante. I dati anagrafici del Comune per 1989 parlano chiaro: abitanti 215; nati 3; morti 6. Ma la partecipazione della gente alla vita del paese è ancora alta se le elezioni per i rinnovo del Consiglio Comunale svoltesi nel maggio dell'anno successivo mostrano un 76% di votanti.
Tornando al primo Novecento è possibile rilevare nel "gruppo corporato chiuso rimellese" segni di maggiore apertura e relazione col mondo esterno a partire dall'inaugurazione nel paese di un albergo. In Valsesia, dove già nel secondo Ottocento si era scoperto nel turismo basato sulla bellezza dei luoghi una nuova fonte di reddito, si erano costruiti molti alberghi nelle zone montane più ricche di attrattiva. Seguendo questa traccia i coniugi rimellesi Virginio e Maria Fontana aprirono nel 1913 l'albergo che avevano costruito in pieno sole nella frazione Chiesa. Nei loro auspici l'albergo che porta ancora oggi il loro nome, doveva diventare "l'albergo reclam di questo Comune". Scorrendo le osservazioni e i commenti segnati dai clienti sul registro, o "Album dell'Albergo" è possibile, di riflesso, passare in rassegna gli eventi più significativi per il paese fino al 1950 circa, con un intervallo di silenzio sul 1943-44. Scorrono così davanti ai nostri occhi la partecipazione dei giovani rimellesi alla prima guerra mondiale e il ricordo doloroso dei caduti; l'inaugurazione del nuovo concerto di campane nel 1924; il fascismo richiamato dall'apposizione alle date di un numero romano a significare l'Era Fascista; qualche lapidario accenno agli anni Quaranta, come il disegno di una svastica con inscritto un fascio littorio con il motto "Usque in finem" e la scritta "Vincere" seguita da un commento evidentemente postumo "e infatti...". Quasi nulla invece sul 1943-44 eccetto una data e un'espressione significative per la Resistenza in cui il paese si è trovato coinvolto: "2/1/1944, ultimo del fascismo, Franco il Ribelle". E' la data dell'occupazione del paese da parte dei partigiani di Moscatelli.
Gli anni Trenta passano senza scosse per Rimella e per il piccolo albergo che registra però nell'Album anche qualche lamentela perché "la strada è ripida e faticosa, manca ancora la luce elettrica". Già sappiamo che la carrozzabile si fermava alla frazione Grondo. Per la luce elettrica va detto che negli anni Trenta per iniziativa dell'avvocato Giuseppe Ubezzi è stata costruita al Grondo una piccola centrale per la produzione di energia elettrica utilizzando le acque del Landwasser. L'Azienda elettrica municipale fu gestita dalla famiglia Ubezzi della frazione Chiesa fino all'allacciamento alla rete regionale avvenuto nel 1967.
Altre fonti ci informano più in particolare sugli anni Trenta e sul coinvolgimento di Rimella nel conflitto.
Per gli anni Trenta dobbiamo notare una serie di provvedimenti relativi alla scuola: con deliberazione podestarile del dicembre 1927, V Era Fascista, si stabilisce di dedicare il nuovo edificio scolastico in via di ultimazione ai "Caduti per la Grandezza della Patria" e di far apporre sulla facciata una lapide con i nomi degli Eroi, fregiata dallo stemma sabaudo e dall'emblema del Fascio Littorio. Una delibera podestarile del marzo 1930 conferisce l'incarico di "maestra elementare" nella frazione S. Gottardo alla rimellese Teresa Cusa. Nel 1937 un'altra delibera podestarile del mese di dicembre istituisce la V classe elementare in Rimella precisando che detta classe deve essere dotata di carte geografiche di tutti i Continenti nonché di quelle dell'Africa Orientale.
Ma è stata la guerra a sconvolgere la vita del piccolo paese seminando paura e terrore nel 1944 quando Rimella si è trovata nel mezzo della lotta fra i partigiani di Moscatelli e i nazifascisti. Occupata prima dagli uni poi dagli altri, è stata oggetto di un bombardamento, fortunatamente senza vittime, nel marzo 1944, ma ha corso il rischio, successivamente, di essere messa a fuoco per rappresaglia dai fascisti che l'avevano occupata a loro volta e si è salvata grazie all'intervento del coraggioso parroco di allora, don Giuseppe Buratti prematuramente deceduto nel 1949, del quale i rimellesi conservano grata memoria. E' rimarchevole il fatto che il rimellese professor L. Rinoldi abbia portato a termine proprio nel 1943 il suo manoscritto sulla storia di Rimella.
Quanto sopra delineato si svolge in un quadro politico che potremo definire lineare. Ciò che in altri paesi del mondo e nell'Italia stessa contrassegnava drammaticamente la vita politica - lotta di classe, lotta fra i partiti - a Rimella aveva scarsa risonanza. Rileva A. Lovatto che "l'attaccamento alla Chiesa era certamente espressione del radicamento dei valori tradizionali. Gli atteggiamenti anticlericali, esplicitamente espressi così come posizioni politiche che tendevano verso un forte rinnovamento sociale, erano certamente minoritarie nella comunità rimellese tra guerra e dopoguerra". E a conferma cita i risultati del 2 giugno 1946 in cui "vengono espressi 212 voti per la Monarchia e 130 per la Repubblica". Sempre attenendosi ai risultati elettorali rileva inoltre che "l'adesione ai partiti cattolici era, a Rimella, notevole. Nel 1946 la Democrazia Cristiana raccolse il 57% dei consensi e nell'elezione del 18 aprile 1948 raggiunse addirittura il 70%.
La situazione socio-economica del paese rimane caratterizzata da grande povertà. Già nel 1930 in una relazione inviata al Prefetto di Vercelli veniva evidenziato come la situazione finanziaria del Comune di Rimella fosse preoccupante e dipendesse essenzialmente dal fatto che le spese ordinarie erano coperte con fondi straordinari e che era impossibile aumentare le entrate. La situazione appare ancora più grave nell'esposto inviato, sempre al Prefetto di Vercelli, in data 17/5/1946 dal Sindaco di Rimella Serafino Vasina allo scopo di ottenere agevolazioni per il paese. Nel testo, pubblicato integralmente su Remmalju, si dice che la popolazione da 965 abitanti nel 1922 è scesa a 665 e che la carrozzabile che la collega a Varallo è sempre ferma al Grondo, per cui le frazioni sono raggiungibili soltanto per erti sentieri e alcune, come S. Anna e S. Gottardo, con ben due ore di cammino. La scuola di S. Gottardo chiusa e i ragazzi costretti a percorrere sentieri pericolosi, causa la neve e le valanghe, per assolvere l'obbligo scolastico alla frazione Chiesa. Si fa presente inoltre che "il bilancio comunale basa essenzialmente sulla tassa bestiame che lassù si applica in modo forzatamente gravoso [...], l'annata agraria si riduce a pochi mesi e ha per prodotto solo patate e un taglio di fieno che non si fa prima di giugno [...]. L'inverno scorso fu particolarmente rilevante per la neve caduta e Rimella fu per diversi mesi bloccata senza viveri perché la Sepral si rifiutò di provvedere generi alimentari di riserva". Dopo aver ribadito che le famiglie, anche numerose con 6/7 figli, per sfamarsi vivono solo di polenta e di riso e che sul caro vita incidono le spese di trasporto, il Sindaco chiede "1°: l'abolizione dell'imposta sui redditi agrari; 2°: il beneficio della maggiorazione sulle imposte erariali; 3°: la costituzione di un magazzeno di riserva di generi alimentari per le necessità invernali; 4°: soccorso in denaro o in natura per le famiglie numerose e per i vecchi e inabili agricoltori che non sono più in grado di fare un lavoro redditizio [...]". Questo, secondo la testimonianza di un rimellese come il Sindaco Vasina, il quadro con cui Rimella si apre alla storia della seconda metà del secolo scorso. Ma in questo quadro così negativamente connotato continuava a vivere e a operare con ritmi di lavoro e tecniche collaudate da secoli di esperienza una gente ancora saldamente unita dalla lingua, il tittschu, che tutti parlano, dalla comune fede cristiana, dall'attaccamento alle proprie tradizioni e al proprio paese. La vita insomma ferve ancora nelle frazioni, nei campi, nei prati, nei boschi, negli alpeggi, lungo il torrente. Al Grondo, nella casa del "Prestiиo" (и sic!) si cuoce ancora il pane e il mulino macina ancora il mais per la farina con cui fare il magru.
Nella seconda metà del secolo tutto ciò va scomparendo lentamente ma inesorabilmente - anche in rapporto al calo della popolazione scesa dai 431 abitanti del 1961 ai 140 del 2001 - per lasciare il posto a forme di vita e attività diversamente impostate e con coraggio intraprese nonostante il persistere dei tradizionali pericoli come il fuoco, la neve e le alluvioni.
Nel 1960 infatti il Municipio, che accoglie anche la scuola, viene nuovamente e completamente distrutto da un incendio con tutti i documenti. La Giunta Comunale (sindaco Giovanni Termignone) stanzia immediatamente i fondi per la costruzione di un nuovo edificio che dovrà accogliere, con la scuola, anche un ambulatorio medico; l'opera sarà possibile anche per l'aiuto, continuo già negli anni Cinquanta, dell'On.le Giulio Pastore.
Nel 1961 un'alluvione distrugge il ponte della Madonna del Rumore che sarà ricostruito in tempi brevi grazie all'impulso dato al paese dalla costituzione in Rimella, nell'agosto di quell'anno, di una Pro Loco. Anima dell'iniziativa l'Avv. Luigi Ottone che riteneva tale associazione necessaria alla rinascita e allo sviluppo del paese. Diceva che per salvare la montagna bisognava renderla vivibile "con tutte le infrastrutture necessarie per una vita meno sacrificata e non, naturalmente, portare in montagna ciò che poteva rovinare la sua originalità e naturalezza".
Il problema delle infrastrutture era complesso: c'era il ponte alla Madonna del Rumore da ricostruire; c'era la carrozzabile dal Grondo alla Chiesa da far proseguire oltre alla Villa Inferiore dove era ferma; c'erano i problemi dell'acquedotto, dell'elettrodotto (l'allacciamento alla rete regionale avverrà per Rimella nel 1967), del telefono e quello dell'incentivazione del turismo. Per usufruire dei contributi per poter realizzare le proprie finalità, la Pro Loco di Rimella si iscrive all'Ente Provinciale del Turismo. Non solo, ma l'avvocato Ottone in rappresentanza della Pro Loco e in collaborazione con l'Amministrazione Comunale cui lo legava un ottimo rapporto, cominciò a portare, sempre con l'aiuto dell'On. Pastore, i problemi di Rimella al Ministero dei Lavori Pubblici oltre che alla Prefettura, all'Amministrazione Provinciale e al Genio Civile di Vercelli, al Consiglio della Valsesia, Comprensorio di Bonifica Montana. Ma non basta, perché a queste iniziative va aggiunto il primo grande incontro di Walser organizzato in Rimella il 15 settembre 1964 con la partecipazione di delegazioni di tutti i luoghi Walser della Svizzera, del Vorarlberg, del Liechtenstein e del Piemonte. Tralasciando le molte altre iniziative nel campo della prevenzione ed informazione sanitaria e quelle volte a valorizzare le tradizioni religiose e i bellissimo costume rimellese, dobbiamo ancora qui rilevare l'apertura in Rimella, sempre nel 1961 e accanto alle scuole elementari, di una Scuola Media, prima come corso di ascolto televisivo poi come scuola regolare distaccata dalla Scuola Media di Varallo dove i ragazzi andavano a sostenere l'esame di licenza alla fine del triennio. Sono gli anni in cui si intensificava l'interesse dei glottologi svizzeri per il tittschu rimellese e (1965) il professor M. Bauen iniziava il pluriennale lavoro di ricerca su questa lingua.
Nel 1969 termina la ricostruzione del Municipio concepita in modo moderno e anti-incendio. L'edificio ospiterà anche la scuola, l'ufficio postale e l'ambulatorio per il medico che vi si recava settimanalmente.
Nel marzo 1971 un'eccezionale nevicata isola Rimella per molti giorni interrompendo linee elettriche e telefoniche. Il fenomeno si ripete l'anno successivo sempre fra marzo e aprile con nevicate di oltre tre metri che tagliano il paese fuori dal mondo per un mese e mezzo, interrompendo ancora linee elettriche e telefoniche e rendendo impossibile per tre settimane ogni comunicazione con la frazione di S. Gottardo. Era parroco in quel tempo don Angelo Fortina che pensò si dovessero assicurare le comunicazioni mediante un ponte radio. Ma pensò anche, dopo aver notato il continuo esodo di giovani che, raggiunta la maggiore età, lasciavano il paese per cercare lavoro altrove come muratori, camerieri, cuochi, di dare loro lavoro in paese. Fu così che nacque nel luglio del 1976 la Società cooperativa Mettjene Chilcho s. r. l. per cablaggi elettronici in merito a bilance per uso chimico - farmaceutico e simili per la ditta Gibertini di Novate Milanese. La piccola fabbrica nei momenti di maggior sviluppo ha dato lavoro fino ad una ventina di giovani rimellesi, ridotti ad una decina negli ultimi tempi. Dopo i faticosi inizi nei locali della casa prepositurale di Rimella, la fabbrica ha oggi una sua sede in un edificio nuovo inaugurato nel 1979. L'iniziativa, che non è riuscita tuttavia né a fermare l'esodo dei giovani dal paese né ad impedire negli anni Novanta la chiusura delle scuole, può essere considerata il segno del nuovo porsi dell'economia del paese avviato, come sembra, anche ad attività imprenditoriali come il recente accordo del Comune con la Landwasser s. r. l. per la produzione di energie elettrica sfruttando le acque dei due torrenti rimellesi e verso il turismo. Viene meno infatti ogni giorno la pastorizia, già nerbo dell'economia del paese, e ridotta ormai, nella stagione estiva, a tre alpeggi governati esclusivamente da donne, dove si produce però ancora ottimo burro, formaggio e ricotta. Viene meno con la pastorizia anche la fienagione e la cura dei prati sostituiti in misura crescente dal bosco che, sulla riva destra del Landwasser e, ad eccezione di un fazzoletto di prato tagliato ancora dalla fedelissima Delia R., lambisce ormai il torrente e si mangia gli antichi sentieri che dal Grondo salgono all'Agaatsu e alla Res.
Il futuro di Rimella sembra quindi insistere proprio sul turismo per le risorse che il paese può offrire, ma sta già offrendo, con la valorizzazione di quanto è rimasto della ricca cultura walser oltre che della bellezza e del fascino di un territorio quasi incontaminato. Le modalità di tale valorizzazione sono parte integrante delle iniziative messe in atto dal Comune e da varie associazioni e si basano anche sulle possibilità date dal Parco Naturale dell'Alta Valsesia e dalla sezione etnografica del Museo che è in via di allestimento. C'è da notare comunque che nel paese sta profilandosi un nuovo turismo alimentato dall'inserimento di gente che proviene dalla pianura e anche dall'estero. Sono oriundi emigrati che ritornano per brevi periodi ma con continuità, e stranieri innamorati del luogo che, avendo acquistato e restaurato case e casere vendute con sempre maggiore frequenza dai rimellesi, vengono costituendo una nuova forma di ripopolamento del paese come risulta anche dall'inserimento di questi nuovi abitanti temporanei nelle stesse strutture amministrative del paese e nella partecipazione degli stessi alla gestione e alle attività delle Associazioni esistenti in loco.
C'è da rilevare infine, nonostante tutto, una certa vitalità del Comune ravvisabile nell'impegno per potenziare e ammodernare strutture e infrastrutture di pubblica utilità (acquedotto, rete fognaria, illuminazione, viabilità) e utilizzare in modo nuovo l'uso dell'acqua dei torrenti. A ciò vanno aggiunti gli atti amministrativi volti ad approvare gestioni associate della Val Mastallone con la Comunità Montana e le iniziative promosse dall'Ente Regione, dalla Provincia e dalla Comunità Montana stessa intese alla salvaguardia dei vari Comprensori. In questo quadro vanno inserite tutte le opere compiute per rendere più sicura la strada Varallo-Rimella: la sicurezza delle vie di comunicazione infatti è una delle condizioni per lo sviluppo del turismo su cui sembra che oggi la piccola Comunità debba puntare.
La comunità di Rimella versa comunque attualmente in una situazione critica. Già verso la prima metà del ‘900, come lamentava il ricordato Prof. Rinoldi, la comunità aveva dato segni di decadenza. Era prevedibile una grossa crisi: pastorizia e conservazione del territorio avrebbero dovuto essere sostenute in modo particolare in un mondo che si apriva ad una massiccia industrializzazione e creava uno squilibrio troppo forte. Così l'emigrazione, questa volta interna, portò la gente nelle città finitime di pianura. Il pendolarismo, si sa, comporta crisi nelle famiglie che, per riunirsi, finiscono per stabilirsi definitivamente nei luoghi di lavoro. Una svolta in questo lento decadere sembra essersi defilata col sorgere in Rimella, tre lustri fa circa, del Centro Studi Walser che ha contribuito a ridare alla gente l'orgoglio della propria lingua e della propria identità anche con l'organizzazione di incontri incentrati e sulla lingua e sulla storia del paese. Purtroppo sono rimasti in pochi e, oltre ai fine settimana, solo in occasione di qualche grande festività religiosa o ricorrenza civile, il paese si ripopola. Le scuole, già fiorenti fino alla metà del secolo scorso, non esistono più. I bambini (tre in tutto, di cui una in età scolare) devono essere trasportati, con grave disagio specie nei mesi invernali, nel paese più vicino a 9 Km. di distanza circa; i giovani, affascinati dalla vita più facile e godereccia della città, sono scarsamente motivati a mantenere le tradizioni, imparare e parlare la lingua, coltivare la propria storia e curare la fisionomia del loro paese.
Attualmente non c'è più crisi economica perché sono bravi muratori e guadagnano bene inoltre, siccome diverse case cominciano ad essere vendute, c'è la possibilità di lavorare in loco nelle opere di ristrutturazione e anche nella costruzione e manutenzione della viabilità.
I residenti nel Comune sono attualmente 120, ma gli abitanti stabili solo una sessantina. Rimane il fatto che il Comune dispone di scarse risorse finanziarie.
Remmalju: 1948, Gruppe in Tracht
Numerose sono le tradizioni che hanno segnato nel tempo la vita della gente rimellese, alcune definitivamente tramontate per i cambiamenti di portata mondiale che hanno investito negli ultimi decenni in modo massiccio anche una Rimella non più isolata, altre invece, persistenti e capaci di segnare ancora oggi momenti cruciali della vita del paese anche se il numero degli abitanti sembra avere toccato il minimo storico.
La vita e la morte, due di questi cruciali momenti, sono segnalati ai rimellesi dal suono delle campane che per secoli, e prima dell'avvento dei moderni mezzi di comunicazione, ha ritmato la vita quotidiana di questo piccolo popolo. Le campane che svolgono tuttora il loro compito, furono inaugurate nel 1923. Erano state rifuse dalla ditta R. Mazzola di Valduggia per iniziativa dell'allora parroco don Severino Vasina e col concorso finanziario di tutti i Rimellesi, anche di quelli emigrati in Francia e in Svizzera.
Tralasciando i particolari relativi ai problemi di trasporto e di installazione che in un paese come Rimella erano veramente grossi (2400 Kg. di peso complessivo distribuiti rispettivamente in 800, 600, 410, 350 e 240 Kg. fra le 5 campane da trasportare a piedi dal Grondo, posto a 980 m., alla frazione Chiesa, situata a 1200, e da issare sul campanile), ci limitiamo qui ad indicare il tipo di segnale e il significato ad esso tradizionalmente attribuito. Ogni campana portava inciso il proprio nome, il peso, la tonalità, i nomi del padrino e della madrina e quello dei caduti in guerra ai quali era dedicata: questo anche per la seconda campana dell'Oratorio della frazione di S. Gottardo (149 Kg.) e quella di S. Antonio (64 Kg.) rifuse nello stesso periodo a spese dei terrieri delle due frazioni.
Attenendoci ad un documentato articolo di G. Strambo, sappiamo che KAMPANUN era il nome della campana grande che portava incisi, oltre al peso anche la tonalità (mi) e i nomi del padrino, don Severino Vasina, della madrina M. Ubezzi e la dedica ai Caduti Guerra di Libia (1911) e Prima Guerra Mondiale. Il Kampanun veniva suonato a distesa per segnalare un incendio, la scomparsa di una persona e la morte del parroco del paese. D' METTESSTLE era il nome della seconda campana dedicata a S. Gioconda e a S. Luigi. Veniva suonata per indicare il mezzogiorno con l'aggiunta di tre tocchi (bot) del Kampanun; l'inizio della Messa festiva; il segnale dell'Ave Maria al mattino e alla sera; la morte di una persona detta in tittschu agonia. In questo caso la campana viene suonata a distesa in tre riprese di 5 minuti con trenta rintocchi per ogni ripresa a cadenza molto lenta. Chiudono questo segnale i bot del Kampanun: uno per la morte di un uomo, due per quella di una donna e tre per la morte di un iscritto alla Confraternita del SS. Sacramento.
La terza campana denominata Z' NUWA viene suonata a distesa per segnalare la messa nei giorni feriali. La quarta, detta Z' TÖTA viene suonata per segnalare la morte di una persona il giorno precedente la sepoltura, dopo il segnale del mezzogiorno. Viene suonata a distesa in tre riprese di 100 rintocchi ciascuno. A richiesta della famiglia e per i rimellesi sepolti fuori dal paese può essere suonata anche la domenica successiva alla sepoltura del defunto, dopo il segnale di mezzogiorno. La più piccola delle campane, denominata Z' PASSA, viene usata esclusivamente per segnalare la morte degli iscritti alla Confraternita del SS. Sacramento.
La morte dei bimbi sino all'età scolare viene segnalata alle ore 16.00 in tre riprese con il suono della mettelste e della töta alternate. Anche il rito dell'Estrema Unzione era segnalato prima dal bot del Kampanun, poi dal suono a distesa della z' nuwa e infine dal concerto di tutte le campane. Le donne presenti nel corteo che accompagnava il sacerdote indossavano per l'occasione un velo azzurro scuro.
Il sabato e la vigilia (virabu) di ogni festa di precetto erano annunciati prima dal suono della seconda campana accompagnata dai bot del Kampanun, poi dal suono a distesa della terza campana. Segno di dolore i 33 rintocchi del Kampanun suonati alle ore 15.00 di ogni venerdì per ricordare gli anni e la morte in croce di Gesù, e i tre bot finali in ricordo delle tre ore di agonia. Anche l'inizio della messa e i momenti più significativi del rito sono segnalati in ordine successivo dalle prime tre campane. I rintocchi del Kampanun risuonano all'Elevazione. C'è anche, nella tradizione legata alle campane, lo Strambu lan che segnala la recita del S. Rosario prima del suono dell'Ave Maria. Il nome è dovuto ai signori Strambo che avevano devoluto alla chiesa un lascito per la recita del Santo Rosario a suffragio delle loro anime.
I segnali delle campane ci consegnano l'immagine di una realtà fortemente segnata da valori religiosi che si sostanziano nella saldezza di un legame fra i componenti della comunità che neppure la morte può spezzare, come testimoniano le numerose tradizioni ancora vive correlate al culto dei morti: processione al cimitero, cura delle tombe, veglie di preghiera con recite del rosario nella casa del defunto la sera precedente la sepoltura - rito al quale partecipano non solo gli abitanti della frazione del defunto ma anche quelli delle altre frazioni -, sante messe in suffragio in particolari ricorrenze. La società rimellese si propone così ancora oggi come una comunità composta dai vivi ma anche dai morti che continuano a vivere non solo nell'affetto e nel ricordo dei vivi ma ad operare concretamente, insieme con loro, e a loro protezione e aiuto. Tale azione concreta è sensibile negli effetti dei lasciti e legati in favore dei vecchi e dei membri più deboli della società, di opere finalizzate all'educazione e all'istruzione oltre che alla manutenzione e funzionalità degli oratori e delle iniziative proprie a ciascuno di essi. E' una presenza sentita anche nella tradizione, tuttora praticata, di distribuire ai partecipanti, al termine della messa in suffragio di uno o più defunti e a cura dei parenti, di generi alimentari. Una volta si trattava di pane o di sale essenziali per una comunità che viveva ai limiti della sussistenza; oggi che la vita della famiglia è diversamente impostata, si distribuiscono pacchi di zucchero, riso, pasta. Raramente ancora, e con valore simbolico, il pane. Ma il motivo di fondo è sempre quello antico: il defunto si fa presente con un dono concreto al quale corrisponde, da parte dei vivi, l'impegno della preghiera, dell'onestà della vita, e delle opere buone compiute in suffragio.
Fino ad anni abbastanza recenti erano sentite e praticate altre tradizioni, seguite oggi sempre più raramente, legate al ciclo della vita e collegate al Battesimo, al Fidanzamento e al Matrimonio e che ragioni di spazio non ci permettono qui di approfondire ma che sono ampiamente trattate nelle citate opere del professor Sibilla e nei citati articoli pubblicati su Remmalju dal dottor Remogna. Qui ci limitiamo a ricordare oltre alla tradizione dello scambio del pane che ricorre il giorno dell'Ascensione in cui i rimellesi vanno nella vicina Fobello a ricevere il pane dell'amicizia e il giorno della Pentecoste in cui sono i fobellini a venire a Rimella per ricevere un analogo dono, la festa di Santa Gioconda che si celebra ogni anno con solennità il giorno 15 di agosto. Secondo una tradizione risalente alla fine del Settecento presente nei racconti dei vecchi, sembra che la Santa stessa avesse espresso la volontà di essere venerata a Rimella. Si racconta infatti che quando la splendida urna, che aveva già contenuto le spoglie di S. Agabio e ora conteneva quelle di Santa Gioconda, portata a braccia da Varallo in su arrivò al punto dove la strada si biforca verso Fobello e verso Rimella, i portatori che in quel momento erano forellini si avviarono verso il proprio paese. Ma l'urna a quel punto divenne così pesante che non fu possibile smuoverla oltre. Ridivenne trasportabile quando fu presa la direzione verso Rimella. Ogni 25 anni è tradizione che l'urna venga portata in processione fuori dalla chiesa parrocchiale verso le frazioni della comunità. Il rito si è rinnovato nel 2001. La notte del 12 agosto, accompagnata non solo da tutti gli abitanti in loco ma anche da un gran numero di emigrati rimellesi e di turisti (si è calcolato che fossero 700 persone), l'urna portata a braccia, a turno, da 6 rimellesi, ha percorso i due chilometri di strada che collegano la frazione Chiesa con la frazione di S. Gottardo dove è rimasta esposta alla venerazione dei fedeli prima di essere riportata la sera della domenica successiva nella Parrocchiale per la solenne messa cantata e il Te Deum di ringraziamento. E' stata per Rimella un'esperienza estremamente toccante e suggestiva: la notte era limpida, il cielo trapunto da infinite luminosissime stelle, le frazioni di Prati, Sella, Villa Superiore nelle quali l'urna è sostata per le preghiere di rito sotto gli archi trionfali di fronde e fiori illuminate. Dopo le luci delle frazioni le candele accese portate dalle centinaia di persone in cammino disegnavano nella notte scura una scia luminosa fino a S. Gottardo, illuminata a sua volta e circondata dalla cerchia dei monti sui quali brillavano i falò accesi negli alpeggi. La partecipazione dei rimellesi alla festa della loro compatrona dice quanto certe tradizioni incidano ancora oggi nel cuore della gente per ringraziare la quale il parroco don Giuseppe Vanzan al termine delle funzioni ha usato la tradizionale formula di ringraziamento: Vrattus Got vàr àllu dì, Ljebuschìle, vàr welz z maischta mànglut z' dìnu(n)tìre, under und tüschun vàrt, "Iddio ti renda merito per il dono che mi hai dato e il bene vada in suffragio di tutti i tuoi defunti, soprattutto per coloro che ne hanno più bisogno, moltiplicato per cento e mille volte".
Pochi cenni alle tradizioni correlate al ciclo dell'anno come quella seguita per il carico e lo scarico degli alpeggi corrispondente, salvo spostamenti determinati da variazioni climatiche, rispettivamente al giorno di S. Giovanni (24 giugno) e a quello di S. Michele (29 settembre). I rimellesi però erano soliti far coincidere l'inizio del ciclo agrario con il giorno di S. Marco, il 25 aprile, che si solennizzava con la celebrazione di un rito religioso nella cappella omonima che esiste tuttora ed è situata appena sopra la frazione Grondo. Consuetudini antichissime regolavano i comportamenti dei rimellesi con l'avanzare della stagione buona, tutti ritmati sulle esigenze poste dall'allevamento degli animali, dalle cure richieste dai prati per la fienagione e dalla lavorazione dei pochi terreni adibiti all'agricoltura possibile in quei luoghi. Chi doveva migrare era partito, chi rimaneva si apprestava a compiere tutto quanto richiesto per il trasferimento degli animali sull'alpe con preparativi che impegnavano la gente almeno due settimane prima di S. Giovanni. Particolarmente significativa la festa pastorale che si celebrava tradizionalmente il giorno prima della ritorno dall'alpe. Era caratterizzata dall'accensione di grandi falò vicino agli alpeggi, da un clima di inusitata allegria, da canti, da balli, dalla consumazione di cibi diversi dal solito e dall'allegria dei bambini - allora numerosi negli alpeggi dove la vita, con le sue durezze, era per loro pane quotidiano - che alimentavano i fuochi con rami secchi e cespi di rododendri e quant'altro era possibile trovare in quei luoghi.
Non possiamo chiudere il sia pur breve discorso sulle tradizioni rimellesi senza citare quella del Carnevale le cui origini si perdono nella notte dei tempi ma che mantiene ancora oggi, sia pure in forme diverse, tutta la sua vitalità. Senza ricorrere a Bauen che già nel suo libro riporta fra i ricordi della gente la descrizione di una notte di Carnevale riportiamo di seguito quanto è contenuto in una delle registrazioni effettuate per l'archivio sonoro. Dice l'intervistata che nell'intervista ha preferito usare il "suo italiano", che tutti assieme "volevano divertirsi un po'. Il bisnonno raccontava che un anno, per divertirsi un po' si sono trovati tutti in piazza a Chiesa. Uno ha portato la zangola con dentro la panna, neanche da dire, e gli altri hanno messo qualcosa, dato qualcosa, hanno sbattuto, fatto la panna montata, la polenta e hanno ballato in piazza e mangiato polenta e panna - forse avevano anche due salamini - ma erano tutti insieme fuori in piazza ed erano contenti, stavano meglio di adesso, andavano più d'accordo. Adesso invece no [...] è tutto diverso". Mancano in questa descrizione particolari che troviamo invece in Bauen il quale parla di maschere: "chi si vestiva da sposo, chi da sposa, chi da diavolo", aggiungendo che il corteo si formava nella frazione più alta e, partendo da quella, scendeva di frazione in frazione fino al Grondo passando fra persone di tutte le età "un po' vecchi un po' giovani" che si assiepavano lungo il percorso. Chi non aveva altre possibilità si mascherava indossando semplicemente un sacco ma il divertimento era grande.
Oggi il Carnevale rimellese diretto da un comitato organizzatore si celebra ancora . La festa attira molte persone locali e turisti e in genere si attua con la preparazione di un cibo tipico detto paniccia. Canti musiche e danze vivacizzano l'incontro che costituisce uno dei motivi di attrazione verso il paese che ha bisogno oltre che di coraggio e di spirito di iniziativa della gente dell'apporto economico che può venire dal turismo.
Qualche cenno sul significato delle tradizioni per il rimellese di oggi. Rimangono vive soprattutto quelle legate alla nascita e alla morte. Non solo i nati (rarissimi ormai) di chi abita attualmente a Rimella, ma anche di emigrati che, per l'occasione, tornano al paese di origine, vengono battezzati nella chiesa parrocchiale con una commovente cerimonia che conserva il sapore e il fascino di antichissime usanze. Il bimbo viene portato in chiesa dalla gente, grandi e piccini, vestita con il pittoresco costume del luogo. Apre la processione la madrina che porta sul capo una culla rimellese di legno, debitamente addobbata, in cui è deposto il bimbo che viene ricevuto dal parroco sulla porta della chiesa. Con la cerimonia che segue, un nuovo cristiano viene a far parte della comunità rimellese; seguono i festeggiamenti di genitori, parenti e amici.
Il culto, molto sentito, dei morti si esprime sia nella veglia funebre in casa del defunto, dove si radunano gli abitanti del paese per a recita del Santo Rosario; sia nella partecipazione alle esequie; sia nella cura delle singole tombe al cimitero, che è sempre fiorito; sia nelle processioni al Campo Santo che il parroco guida in certe occasioni, così come nell'uso, ancora frequente, di far seguire alla S. Messa in suffragio del defunto, una distribuzione di sale o zucchero o pane o pasta agli intervenuti. Alle volte, alla fine della veglia del Rosario, in tempi passati si distribuiva una monetina.
Altra tradizione degna di nota è l'"Incanto" che ha luogo dopo la Messa in occasione della festa del Santo cui è dedicata la Chiesa o l'Oratorio. Consiste nella vendita all'asta delle offerte in natura portate dai fedeli; Il ricavato va in beneficio della Chiesa o dell'Oratorio dove la festa viene celebrata. Ogni frazione, ma anche ogni alpeggio, ha la sua festa che richiama la gente delle altre frazioni, ma anche un buon numero di turisti e di rimellesi migrati in pianura o all'estero. Ciò significa che persiste vivo nella gente l'attaccamento ai propri luoghi e alle proprie tradizioni. Anche la festa del pane (Ascensione) è molto sentita. Importantissime le celebrazioni del 15 agosto in cui coincidono la festa dell'Assunzione e quella di Santa Gioconda, Patrona del paese. Va ancora ricordata la solenne processione con cui ogni 25 anni le reliquie di Santa Gioconda, conservate dentro un'arca di vetro, vengono portate, di notte, a lume di centinaia di candele, dalla Chiesa parrocchiale alla frazione di S Gottardo e riportata alla parrocchiale la notte successiva.
Altre tradizioni sono legate ai ritmi dell'allevamento del bestiame, ma oggi la pastorizia è in crisi, non se ne vede il futuro e sono solo le donne a sostenerne il peso. Sono ancora solo tre le famiglie che hanno nuclei consistenti di bestiame - distribuito in tre alpeggi - e alle quali altri affida i pochi animali che possiede.
Tradizioni che hanno ancora il potere di attirare, per un momento di festa, rimellesi, oriundi e turisti sono la festa del Carnevale (è di rito preparare la paniccia) e la festa degli Alpini.
Consistente è la partecipazione dei rimellesi alle Walsertreffen in cui si distinguono anche i giovani che, nel preparare in modo originale la presentazione del gruppo alla manifestazione, mettono in atto tutta la loro inventività e il loro impegno.
Remmalju: Mädchen in Tracht
La lingua di Rimella, il tittschu, è classificata dagli studiosi come appartenente al gruppo alemannico alpino. Sono dialetti tedeschi parlati in Italia con varianti anche molto sensibili dai discendenti di quei coloni alemanni che, provenienti dal Vallese, si erano stanziati nella zona intorno al Monte Rosa a partire dalla metà del XIII secolo: Bosco Gurin, Formazza, Ornavasso, Rimella, Rima, Rimasco, Alagna - nella regione Piemonte - Issime e Gressoney - nella Valle d'Aosta. Il tittschu rimellese è stato fino a tempi abbastanza recenti il normale modo di esprimersi in famiglia e nei rapporti sociali, esclusi gli atti ufficiali della comunità, le lezioni scolastiche e le omelie in chiesa che si tenevano in italiano. Negli anni ‘70 del secolo scorso Bauen osservava che fra i rimellesi si parlava tedesco senza eccezioni e che "i bambini della prima classe, all'inizio della scuola, non erano in grado di parlare una parola di italiano". Nel decennio precedente egli aveva studiato direttamente e a lungo questo popolo del quale aveva imparato a parlare bene la lingua e col quale aveva convissuto nei mesi estivi negli alpeggi e nelle frazioni per cogliere "dal vivo", insieme alla lingua l'autentica storia del paese che, diceva, era storia orale, scritta sulle labbra della gente. Della lingua di Rimella infatti non esistono testi scritti se si eccettuano le notazioni prese durante brevi visite a Rimella di ricercatori svizzeri nel primo Ottocento, oltre ai tentativi, sempre nel primo Ottocento, di mettere per iscritto testi sacri come la Parabola del figliol prodigo, i Dieci Comandamenti e il Padre Nostro e alcuni componimenti poetici del primo Novecento nei quali si alternano versi italiano con versi in tittschu.
Mettere per iscritto l'originario dialetto rimellese ha comportato un dibattito non indifferente quando a Rimella ci si è trovati di fronte al problema della grafia da adottare per l'elaborazione e la stampa del vocabolario Ts Remmaljertittschu Italiano-Tittschu programmato dal Centro Studi Walser fin dalla sua prima costituzione nel 1990. Recensendo quest'opera sulla Rivista Italiana di Dialettologia la prof.ssa S. Dal Negro scrive: "[...] per l'impianto generale del lavoro il vocabolario del dialetto di Rimella si è avvalso della supervisione di M. Bauen [...]: il risultato più immediato di questa collaborazione consiste nella felice scelta del sistema di trascrizione adottato, e cioè la cosiddetta grafia unificata, un sistema semplificato impiegato con variazioni minime per la trascrizione di tutti i dialetti alemannici".
Per il suo carattere di isola linguistica depositaria di elementi di un patrimonio lessicale molto antico, Rimella è stata oggetto di interesse da parte di linguisti svizzeri fin dal primo Ottocento e, in tempi molto più recenti, anche di studiosi italiani (Fazzini, Dal Negro, Di Paolo).
La serie degli studiosi svizzeri è lunga. Le prime indagini risalgono al 1834 con M. Schottky che passa due volte per Rimella annotando vocaboli dialettali e nomi rurali e osservando che "qui si parla un dialetto tedesco molto primitivo". Continua con A. Schott nel 1842, W. Halbfass nel 1894, H. Nabert (1904), K. Bohnenberger che approfondisce flessione e fonetica nel 1910; E. Balmers nel 1924; F. Gysling nel 1929, il quale registra fonograficamente testi in tittschu, ancora Balmers nel 1930; R. Hötzenköherle che compie registrazioni per l'Atlante Linguistico della Svizzera tedesca nel 1952/53. Nel giugno 1958 un gruppo di studenti dell'Università di Berna, sotto la guida del professor Zinsli, fa rilevamenti e indagini sul folklore e la toponomastica producendo, in numero limitato, un disco ricordo per i partecipanti. Infine, nell'estate 1965, il professor Bauen su incarico del professor Zinsli inizia i suoi primi soggiorni a Rimella e le prime sistematiche indagini sul tittschu analizzato nel quadro dell'ambiente geografico e della storia del paese.
L'analisi linguistica, documentatissima, verte sulla Fonetica, la Morfologia, il Vocabolario e soprattutto le singole Particolarità Sintattiche nel loro rapporto con la sintassi italiana e la composizione e mescolanza del sistema sintattico. L'ampio studio, corredato da una prima Appendice con Saggi dialettali di tradizione orale e scritta e una seconda con notizie storico-geografiche su Rimella, ci presenta il dialetto rimellese "come una variopinta mescolanza di parti del discorso tedesche e italiane". L'autore si dice impressionato "dalla evidente e forte infiltrazione italiana come anche dalla predominanza del lessico tedesco, e così pure dalle molte particolarità del linguaggio ancora riconoscibili come tedesco walser". In particolare la "morfologia si dimostra senza eccezioni ancora tedesca e strettamente legata al lessico tedesco [...]. La sintassi si profila invece come il territorio nel quale l'influsso italiano è divenuto massivo, per cui essa assume significato preponderante per giudicare le condizioni del dialetto". Se la fonetica dell'originario linguaggio tedesco walser, per Bauen, è per buona metà italiana, questa lingua, parlata da una popolazione autoctona non ancora (negli anni '70 del XIX secolo n.d.r.) mescolata, "si avvale ancora attualmente di un vocabolario tedesco con morfologia tedesca intatta, ancorata ad una sintassi a forte componente romanicizzata fino alla prevalenza, avendo il tedesco rimellese già raggiunto in alcuni tipi di proposizioni la soglia del passaggio all'italiano". Paradossalmente e contrariamente a quanto si nota altrove, a Rimella la trasformazione della sintassi si è verificata prima del cambio del vocabolario e, negli anni '70, ancora lo precedeva. Bauen notava inoltre non solo come il tedesco-rimellese fosse già giunto "pericolosamente al momento del trapasso all'italiano" ma che, se non si rendeva al più presto vivibile la vita in Rimella con provvedimenti economici e sociali e con un risanamento delle strutture tale da impedire il continuo spopolamento del paese, si sarebbe verificato, insieme con la perdita della lingua, anche lo sfaldamento della comunità. E concludeva amaramente le sue riflessioni dicendo: "Comunque, alla fine, non ci sarà più nessun Remmaljertittschu".
Studi recenti sembrano confermare molte delle osservazioni dello studioso svizzero. S. Dal Negro cita, in base a K. Bohnenberger, un censimento linguistico effettuato nel 1900 nell'ambito di tutte le comunità walser a sud delle Alpi secondo il quale "la comunità di Rimella risulta una delle più compatte dal punto etnico e linguistico, contando infatti 1005 tedescofoni su una popolazione di 1007 individui (99,8%)", mentre ad Alagna, nello stesso tempo, la percentuale era del 69,9% e ad Issime era del 56,2%. Attualmente per Rimella, come ci informa sempre Dal Negro, "disponiamo sia dei dati di Di Paolo (1999), che nel 1996 attesta ancora 90 parlanti il dialetto walser locale, il 56,6% del totale dei residenti (158 persone), sia dalle osservazioni sul campo di Giocosa (2000). Da quest'ultimo studio si evince che tutte le persone indagate conoscono e usano l'italiano, quasi tutte sono parlanti della varietà locale piemontese, mentre un gruppo più ristretto è anche tedescofono o ha una competenza passiva del dialetto tedesco.
Per quanto riguarda la documentazione storica già sappiamo che a causa di numerosi incendi che hanno colpito gli archivi comunali e, nel ‘600, anche quello parrocchiale, essa risulta quasi nulla se si eccettuano dati presentati da Bauen come certi e come "indicazioni più precise e attendibili relative alla predicazione e al'insegnamento religioso nel secondo Settecento e la probabile proibizione dell'uso della lingua e dei nomi tedeschi da parte del re Carlo Felice di Sardegna". Dal punto di vista linguistico è significativa anche l'informazione che Sibilla ci offre circa l'italianizzazione dei cognomi che risalirebbe al XIV secolo. Secondo Bauen e Zinsli comunque l'uso del tedesco nella predicazione in chiesa e nel confessionale si sarebbe protratto sicuramente sino alla fine del ‘700 e l'istruzione a scuola fino al 1829 quando, come abbiamo già visto, il notaio M. Cusa affermava che molti rimellesi sapevano leggere e scrivere in italiano. Rimandando all'esame diretto dei sopra citati autori per una più precisa informazione sulle caratteristiche fonologiche, morfologico-lessicali e sintattiche del tittschu, qui ci limitiamo a sottolineare che esso si presenta come una lingua caratterizzata dalla "compresenza di valsesiano e di dialetto tedesco come codici interni alla comunità, adatti cioè all'espressione dell'identità locale dei parlanti, in contrapposizione all'italiano". Così nelle considerazioni conclusive del suo lavoro la dott.ssa S. Dal Nero che aggiunge: "Dialetto tedesco e valsesiano sono perciò in competizione negli stessi ambiti d'uso, con una differenziazione anche simbolica troppo limitata perché possa mantenersi vitale, ed è per questo che il dialetto tedesco, oltre ad essere usato sempre meno, [...] sembra occorrere sempre meno nella forma di un codice misto, quasi limitato ad un'ulteriore caratterizzazione locale del valsesiano".
A Rimella, essendo le scuole sia elementari che medie chiuse dagli anni '90, non esiste ovviamente né insegnamento della, né nella lingua.
Un corso di lingua in tittschu, avviato a cura del C.S.W.R. si registra nelle scuole elementari, ancora esistenti, a partire dal gennaio 1991, così come un Corso serale Tittschu frequentato da giovani non più in età scolare (cfr. Remmalju 1991, pag. 21). Attività analoghe sono documentate anche per l'anno scolastico successivo con la pubblicazione su Remmalju 1992 di saggi delle attività svolte dagli alunni. Non esistono ulteriori attività documentate per gli anni scolastici successivi. Risulta invece un'iniziativa per far conoscere meglio la lingua ai locali e incentivarne l'uso, messa in atto dal C.S.W.R. con un incontro sulla lingua tenuto dalla signora H. Bauen e dal prof. D. Vasina che hanno spiegato alla gente del luogo come si scrive e come si legge un testo in tittschu. A questa, nel 2002, è seguito, a cura del Comune di Rimella che ne ha delegato l'attuazione al C.S.W.R., un corso di lezioni sulla lingua, la storia e l'archivio sonoro da poco completato.
Da lungo tempo non si eseguono più in chiesa, durante i riti e le cerimonie che pure persistono nonostante il pauroso calo demografico, canti e preghiere in tedesco. Tuttavia anche per la stimolazione dell'interesse per la lingua e la memoria storica e su esplicito invito della signora Bauen, a Rimella si è ripresa la recita in tittschu del Padre Nostro. E' avvenuto nella notte di Natale del 2002, e c'è un gruppo di persone che intende continuare l'iniziativa. C'è da notare infine che, al termine delle funzioni che concludevano le solenni celebrazioni in onore di S. Gioconda ricorrenti ogni 25 anni, il parroco abbia ringraziato i presenti con la tradizionale formula in tittschu "Vrattus Got..." da noi già citata.
Remmalju: S. Gottardo (z' Rund) im Sommer
La normativa che regola a Rimella gli interventi finalizzati alla tutela del patrimonio storico, linguistico e culturale del paese, fa capo alle seguenti leggi:
- Legge Regionale 20 giugno 1979 n° 30, successivamente modificata con la L. R. 15 novembre 1982 n° 35, e abrogata dall'art. 11 della L.R. 17 giugno 1999 n° 37.
La legge di settore n° 30/79 emanata dalla Regione Piemonte in ottemperanza agli artt.4, 5, 7, del proprio Statuto, mentre riconosceva nel territorio piemontese 4 minoranze linguistiche: piemontese, occitana, franco-provenzale e walser, poneva il Piemonte tra le prime Regioni a Statuto Ordinario ad avere una normativa di tutela delle minoranze linguistiche, e questo nel vuoto legislativo nazionale che sarà colmato solo dalla Legge n°482/99. Ricordiamo a questo punto che la rivista del Centro Studi walser di Rimella Remmalju sarà pubblicata nel 1990 con un contributo della Regione Piemonte e dell'Amministrazione Provinciale di Vercelli a norma delle Leggi Regionali 30/79 e 35/82 sopra citate.
- L. R. 10 aprile 1990, n° 26 modificata e integrata dalla
- L. R. 17 giugno 1997, n° 37 "Tutela, valorizzazione e promozione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico del Piemonte".
Il primo articolo della L. R. 10 aprile 1990 n° 26, modificata ed integrata dalla n° 37/1997, indica esplicitamente che "La Regione Piemonte, nello spirito degli artt. 3, 6, 9 della Costituzione Italiana e in attuazione degli artt. 4,5,7 dello Statuto Regionale [...] tutela e valorizza l'originale patrimonio linguistico del Piemonte e ne promuove la conoscenza". Indica inoltre i principi ispiratori di una politica di tutela delle minoranze linguistiche nel quadro più generale della salvaguardia e valorizzazione del patrimonio storico e culturale della Regione e la possibilità per i Comuni e i loro Consorzi, le Comunità Montane, Enti, Istituti e Associazioni che promuovono programmi e singole iniziative volte alla conoscenza e diffusione del patrimonio linguistico regionale, di presentare domanda di contributo (art.3) rendendo note le modalità da seguire per ottenerlo e usufruirne (art. 10).
- Legge di Stato 15 dicembre 1999, n° 482: "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche". Questa legge mostra un'inversione di tendenza, rispetto al passato, nella considerazione delle minoranze linguistiche sia a livello europeo che a livello nazionale precedente alla sua emanazione.
- Alle leggi citate vanno aggiunti: il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 dicembre 2001 relativo alla ripartizione dei fondi previsti dagli artt. 9, 15 della Legge n°482/99; la Risoluzione del Parlamento Europeo - 16 ottobre 1981, su una Carta Comunitaria delle lingue e culture regionali e una Carta dei diritti delle minoranze etniche; la Carta Europea delle lingue regionali e minoritarie del Consiglio Europa 5 novembre 1992.
Va notato che, nel vuoto legislativo nazionale precedente l'emanazione della Legge n° 482/99, l'esistenza di uno specifico quadro normativo della materia ha consentito di sviluppare, negli anni intercorrenti, una politica di tutela e valorizzazione delle lingue storiche del Piemonte promovendo interventi conoscitivi di ampia portata (cfr. artt. 3, 4, 5, 6 della Legge 37/1997) e favorendo lo sviluppo di molteplici iniziative diffuse su tutto il territorio regionale.
In questo quadro generale opera il Settore Promozione del Patrimonio Culturale e Linguistico della Direzione Regionale Promozione Attività Culturali, Istruzione e Spettacolo, istituito nel 1998. Con riferimento alla fondamentale Legge Regionale n° 26/1990 e la n° 37/1997, detto Settore per quanto concerne la tutela promozione e valorizzazione della conoscenza dell'originale patrimonio linguistico del Piemonte opera a sostegno di iniziative in favore di Comuni, Comunità Montane, Enti, Istituti ed Associazioni che svolgono attività in materia nella Regione Piemonte, purché le domande vengano ritenute idonee per estensione quantitativa e qualitativa o per il valore innovativo delle proposte. Opera inoltre come sostegno a iniziative assunte direttamente dalla Regione nel campo della Didattica delle lingue minoritarie; della Drammaturgia in lingua; della Musica popolare e tradizionale; della Valorizzazione della cultura alpina; della Ricerca scientifica; dell'Editoria piemontese. Ci limitiamo a ricordare, in riferimento alla normativa riguardante anche Rimella, solo i sopra citati punti principali.
Poiché a Rimella l'unico sviluppo possibile sembra legato, dato il grave spopolamento del paese, al recupero e alla valorizzazione di quanto rimasto di storia cultura e ambiente, l'ambito di applicazione delle Leggi Regionali per mezzo degli organi a ciò preposti riguarda:
- la cultura (Museo; salvaguardia e tutela della lingua, storia e cultura rimellese; editoria);
- la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico rimellese (chiesa parrocchiale, oratori, ristrutturazione di edifici di valore storico);
- la salvaguardia e tutela del patrimonio naturalistico (Parco, antichi sentieri, biotopo);
- interventi atti ad incentivare il turismo.
Concludiamo ricordando ancora che la pubblicazione della rivista Remmalju, del Remmaljertitschu Italiano/Titschu, della traduzione in italiano del libro di Bauen e altre iniziative del CSWR sono state possibili anche con il contributo della Regione Piemonte oltre che, per la traduzione del Libro M. Bauen, della Comunità Europea.
Piccolo popolo vissuto, lo ripetiamo, fino a qualche decennio fa con un'economia ai limiti della sopravvivenza, colpito nell'ultimo secolo da un processo di spopolamento che lo ha portato ai minimi storici mai registrato prima ci si presenta invece, e paradossalmente oggi, con una vita culturale complessa, caratterizzata da nuove e vivaci energie spirituali che, trascendendo la sfera culturale in senso stretto, tendono a innovare e rafforzare i tentativi in atto per la rinascita, anche economica e sociale, del paese altrimenti votato, in quanto "Rimella", a morte sicura. Tutta la sua storia, almeno per quanto fino ad oggi ci è dato di sapere e in attesa di ciò che i ricercatori all'opera per la grande Storia di Rimella in via di elaborazione ci faranno ulteriormente sapere, è segnata sul piano culturale di personalità di rilievo come padre F. Reale, C. A. Reale, padre M. Manio, il professor L. Rinoldi, ma anche l'aviatore M. Manio, oltre al prevosto A. Tosseri e altri come don Severino Vasina, benemerito per la conservazione e l'arricchimento del patrimonio artistico e culturale del paese.
Attualmente sono di grande rilievo per la vita culturale l'istituto del Museo G.B. Filippa, varie associazioni fra cui il C.S.W.R. e l'intensa attività svolta dal parroco don Giuseppe Vanzan per il restauro, la conservazione e l'arricchimento del patrimonio degli edifici religiosi del paese.
Il Museo è un istituto di antica data nato agli inizi del XIX secolo come collezione privata del rimellese G.B. Filippa nella natia frazione Sella e qui sistemata originariamente col nome di "Gabinetto di curiosità e cose rare". Nel 1836, con atto redatto dal parroco di allora don Gaudenzio Cusa, Filippa donò la sua collezione al comune di Rimella che lo ha sistemato alla frazione Chiesa e lo gestisce tutt'ora cercando, negli ultimi tempi, di caratterizzarlo sempre più come eco-museo. A tale fine è stato di recente acquistato, con il contributo della Regione, un immobile alla frazione Sella da adibire a sede, appunto, del costituendo eco-museo e a sede del C.S.W.R. attualmente ospitato nei locali del Municipio.
Ma vediamo più da vicino l'origine di questo istituto culturale. Il fondatore, Giobatta Filippa, nato nella frazione Sella nel 1770 ed emigrato alla fine del secolo, come tanti altri giovani rimellesi, aveva avuto modo di conoscere il mondo come era fuori dei patrii confini.
Dopo aver militato nell'Armata napoleonica e combattuto in terra di Spagna, fu congedato nel 1812 per malattia contratta in servizio, come attesta la fotocopia del foglio di congedo siglato "Regno d'Italia" conservata nel Museo attuale. Ritiratosi nella frazione natia impegnò le proprie energie, dotato com'era di buona intelligenza e di senso pratico, nel rinnovare l'Oratorio di S. Quirico della Sella di cui fu eletto e riconfermato Tesoriere, e nel perfezionare la collezione di monete, libri e cose rare che era venuto procurandosi via via con l'intenzione di far conoscere anche ai rimellesi chiusi entro la ristretta cerchia dei loro monti, il mondo come era fuori. Buona parte di questo materiale erano doni di rimellesi emigrati per motivi di lavoro in varie parti dell'America del nord79.
La collezione è sistemata attualmente nei locali di un'antica casa attigua alla Casa prepositurale e vicina sia al Municipio sia alla Chiesa. "Si tratta - dice il professor A. Vasina - di un'eredità [...] senza dubbio prestigiosa per il centro che la ospita , ma anche impegnativa per l'intera comunità che è chiamata a tutelarla e a valorizzarla, attraverso un ulteriore riordinamento in sezioni più specifiche e omogenee dei reperti e oggetti che la costituiscono"80.
Una visita al Museo permetterebbe ad una persona attenta e appena un po' preparata di ricostruire a grandi linee l'evoluzione storica di Rimella dalle origini al secondo ‘900, agganciandone i momenti più significativi a quanto, salvato nel tempo da dispersioni di varia natura, è ancora esposto sulle pareti e custodito nelle vetrine del Museo. Si potrebbe così, per il Medioevo, risalire alla metà del XIII secolo con la copia del contratto stipulato nel 1256 fra i primi coloni walser insediatisi stabilmente nelle valli rimellesi; per l'età moderna, al XV, XVI secolo (raccolta dei 44 rogiti notarili relativi alla comunità rimellese dal 1396 al 1556); al periodo ‘500 - ‘700 (collezione di libri antichi fra i quali l'edizione originale, datata 1732, di un trattato di scienze matematiche composto da Cristiano Wolf per i suoi studenti); alla Rivoluzione francese (berretto giacobino "frigio" in legno di larice, rosso, datato 1797, che era stato issato sull'albero della libertà eretto davanti alla chiesa di S. Quirico alla frazione Sella che, secondo L. Rinoldi, all'epoca dell'occupazione francese del nord Italia era sede di un Luogotenente di Governo); all'età napoleonica (codice civile per il Regno d'Italia, Milano 1806; quadro con medaglione di Napoleone e altre medaglie del tempo, lettere di Napoleone a Giuseppina, Atto di Costituzione della Loggia dei Franchi Muratori in Torino, rilasciato il 7 maggio 1806 dal Grand'Oriente di Francia, il già citato foglio di congedo del Filippa e una piccola gavetta, ricordo del suo servizio presso il Quinto Reg.to a Padova nell'anno 1812). Se agli ultimi due reperti citati aggiungiamo le "Memorie della vicinanza della Sella e altre memorie patrie raccolte dal Sig. Gio. Batta Filippa fu Michele Tesoriere dell'Oratorio e fondatore del Museo", diario definito "una pagina rara ed importante della storia civile e culturale di una comunità walser nell'epoca della Restaurazione", possiamo dire che il Museo di Rimella ci offre anche interessanti aspetti di ciò che siamo soliti chiamare età contemporanea. Libri, opuscoli, carte, medaglie, quadri, ci rimandano anche al Regno di Sardegna, al quale nel ‘700 Rimella era stata aggregata; al ministro Bogino, ai sovrani sardi Carlo Felice e Maria Cristina di Borbone, al Risorgimento, al Regno d'Italia, alla Resistenza durante la Seconda Guerra Mondiale. Segno, tutto questo, che altri avevano continuato, e secondo il suo espresso desiderio, ciò cui Filippa aveva dato inizio. Questo fatto spiega la presenza nel Museo di reperti provenienti da più parti del mondo, monete, biglietti di viaggio, stampe..., che sono documenti del mai cessato fenomeno migratorio, ma spiega anche la documentazione fotografica dell'attività della Pro Loco fondata nel 1960. Si spiega così anche la presenza di suppellettili e oggetti vari della semplice vita quotidiana dei rimellesi nel paese e all'alpe, ma anche nei boschi. Ci sono parecchi saggi delle essenze proprie del territorio rimellese: frassino, larice..., così come tracce dei tentativi di avviare in loco attività minerarie. Fra i reperti esposti, la pirite aurifera e la foto di una macina per minerali trovata alla base del Kawal, nei pressi di una miniera oggi, naturalmente, abbandonata."Last but not least", in uno scaffale fra i libri sulla storia e cultura dei walser una copia del libro di M. Bauen "Sprachgemischter Mundartausdruck in Rimella" edito in lingua tedesca già nel 1978 ma di cui i rimellesi, che non conoscono la lingua tedesca anche se parlano il tittschu, non hanno potuto conoscere il contenuto così importante per la loro lingua e la loro storia fino a quando, ma solo nel 1999, non è uscita la traduzione italiana. Il Museo che Filippa aveva creato per la sua gente non era comunque destinato ad un popolo di analfabeti bensì a persone che in buona parte sapevano leggere e scrivere e disponevano degli elementi di una cultura di base.
Va notato infine che nei locali del Museo sono state ospitate negli ultimi decenni mostre di pittura anche estemporanea; una importante mostra sui documenti relativi alle Visite pastorali effettuate a Rimella dal ‘500 in poi e su oggetti della vita quotidiana, allestita nel 1995 dalla Società Valsesiana di Cultura ma anche, e con cadenza annuale, a cura del Comune nell'ultimo decennio, apprezzate e molto frequentate mostre fotografiche sul paesaggio, la vita e i costumi di Rimella nel tempo.
La vita culturale del paese ha, da un quindicennio a questa parte, un altro vivace e creativo centro di animazione nel Centro Studi Walser di Rimella, costituito una prima volta con atto privato nel 1988 e ricostituito come Associazione culturale priva di scopi di lucro, con un nuovo statuto nel gennaio 1996 da 13 soci fondatori81. Il C.S.W.R. ha funzionato sotto la presidenza del prof. Dino Vasina fino all'autunno 1999 quando, in seguito alle sue dimissioni irrevocabili, la presidenza è stata assunta dal dott. Eugenio Vasina, oriundo rimellese che, accettando l'incarico, ha assicurato la continuità dell'associazione alla quale comunque il prof. Dino Vasina continua a dare la propria qualificata collaborazione sempre ispirata al motto che riportiamo per esteso con cui si presenta, a partire dal primo numero uscito nel 1990, la rivista Remmalju:
Er haie(n)entracht d asschu under ts chìme,
und hawwer noch gbunnut e bljeschpu.
Esch hétschech àrkit, und mu schinetsch
Wé(n)e schtérnu.
Wé làng? En ts hüüsch ìsch mì ljeksch wet...
Abbiamo smosso la cenere del focolare,
e vi abbiamo ancora trovato della brace.
Si è ripresa e ora brilla
come una stella.
Per quanto tempo ancora? Nella casa è rimasta poco legna...
Nonostante la "poca legna rimasta", al Centro Studi Walser si devono contributi sempre più significativi per quantità e soprattutto per qualità, non solo alla conoscenza e continuità del tittschu rimellese ma anche, e in collaborazione con il Comune, la Parrocchia, la Pro Loco e le altre Associazioni, alla promozione di iniziative per la rinascita del paese e alla vitalità dei rapporti con le altre comunità walser tedescofone così come con le minoranze linguistiche di altra radice. Più in particolare e in attuazione alle finalità statutarie al C.S.W. rimellese si devono fra l'altro:
1. le prime iniziative in favore della lingua animate con generosità e passione dal prof. Dino Vasina al quale si devono anche le numerose traduzioni in tittschu documentate nei primi numeri di Remmalju;
2. la rivista Remmalju che esce con continuità dal 1990, con veste tipografica e qualità di contenuti sempre più apprezzati;
3. il dizionario "Ts Remmaljertittschu/ Italiano -Tittschu" elaborato dal prof. Dino Vasina e uscito nel 1995;
4. la pubblicazione del libro di M. Bauen, Sprachgemischter Mundartausdruck in Rimella (Valsesia - Piemont), tradotto dal tedesco in italiano dal dott. Eugenio Vasina con la collaborazione del prof. Dino Vasina e di altri per quei testi in tittschu che Bauen a differenza di tutti gli altri casi, non aveva tradotto né in tedesco, né in italiano, né in tedesco e in italiano insieme. Al prof. Dino Vasina si deve anche la trascrizione del tittschu secondo le ultime regole dettate dal professor Bauen;
5. videocassette su Rimella;
6. la riproduzione delle audiocassette contenenti la registrazione di conversazioni, narrazione di racconti, interviste da Bauen stesso effettuate nel corso della sua pluriennale indagine sul tittschu rimellese e dalla famiglia donate, dopo la sua morte, alla Comunità di Rimella. Queste audiocassette costituiscono il primo archivio sonoro del tittschu rimellese riprodotto così come era parlato negli anni '70 del secolo scorso;
7. l'elaborazione in atto di un'organica ed ampia storia di Rimella affidata dal C.S.W.R. ad una équipe di studiosi sotto la direzione del prof. Augusto Vasina, titolare della cattedra di Storia Medievale presso l'Università di Bologna. La fase avanzata dei lavori di ricerca e di composizione ne fa prevedere prossima la pubblicazione.
Il Centro assicura inoltre la presenza, quando necessario, di Rimella sulla stampa e la tivù locali, la presenza con una pagina web su Internet, la collaborazione alla riuscita dell'annuale manifestazione dell'Alpaa a Varallo e la partecipazione agli incontri internazionali delle Comunità walser (Walsertreffen).
Validi contributi alla vita culturale nel suo complesso vengono offerti anche dalle altre Associazioni presenti in loco, ciascuna per le competenze specifiche proprie: l'Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.) operante in Rimella dal 1949; il Comitato Carnevale che mantiene viva una secolare tradizione del paese e la Pro Loco. A quest'ultima in particolare si deve, fin dalla sua costituzione, un intenso lavoro di innovazione anche culturale con l'istituzione della Scuola Media in Rimella nel 1961, oltre che di promozione economica e sociale82 durato qualche decennio. Affievolitosi fino quasi a scomparire verso la fine del secolo scorso, da qualche anno tale impegno è rinato oggi a nuova vita, ricco di iniziative che puntano soprattutto sul futuro turistico del paese.
Non si può chiudere il quadro delle attività culturali a Rimella senza menzionare infine la vasta indefessa opera svolta spesso anche con la personale, fisica prestazione di opera dal parroco don Giuseppe Vanzan veramente benemerito del paese per il restauro, la conservazione e l'abbellimento della parrocchiale e dei numerosi edifici sacri di cui è ricco il territorio. Un rilievo a parte merita il restauro dell'ottocentesco organo di cui abbiamo detto, reso possibile dal contributo della Regione e dalle offerte di tutti i rimellesi. Lo strumento inaugurato il 19 agosto 1997 da un concerto del maestro Arturo Sacchetti, ha messo in evidenza le sue meravigliose possibilità nel luglio 1999 nel concerto con cui il maestro Alberto Brunelli, organista titolare del Duomo di Ravenna, ha concluso la cerimonia di presentazione al pubblico della traduzione italiana del libro di Bauen e quella dello scoprimento di una lapide in onore di G. B.Filippa all'esterno del Museo e, all'interno , di un bassorilievo del professor Bauen stesso. Musiche di Frescobaldi, Bellini, Perosi e altri grandi maestri dal Sei all'Ottocento hanno splendidamente concluso una giornata di alto valore per la vita culturale di un paese sulla cui rinascita si appuntano le speranze e gli impegni di tutti coloro che si rendono conto del valore di civiltà del piccolo popolo rimellese che ha saputo vivere per secoli in un paese difficile, anche se per altri versi affascinante, ed elaborare valori che molto possono dire e dare anche al mondo di oggi.
Una menzione a parte va riservata al Centro Studi Walser di Rimella (C.S.W.R.) che funziona, come abbiamo già detto, dal 1988, con statuto rinnovato nel 1996. A detto Centro si devono, oltre alle numerose pubblicazioni di cui a pagina 17 del fascicolo allegato: a) la organizzazione di lezioni sulla lingua e la storia di Rimella; b) la elaborazione ad opera di una equipe di studiosi coordinata dal prof. Augusto Vasina dell'Università di Bologna, di una "Storia di Rimella" che uscirà nel 2003 e consterà di 450 pagg. con una ricca e aggiornata bibliografia; c) un intenso lavoro di appoggio culturale e organizzativo a Comune e Pro Loco locali; d) la realizzazione di un Archivio Sonoro della lingua di Rimella; e) La comunicazione e gli scambi culturali con altre comunità Walzer anche a livello internazionale; f) la collaborazione alla riuscita delle Walsertreffen e dell'Alpaa; g) la costituzione di un Archivio ove raccogliere tutto quanto pubblicato su Rimella, nonché tutta la bibliografia servita al linguista glottologo svizzero prof. Marco Bauen per studiare, già negli anni sessanta del scolo scorso, e pubblicare in tedesco nel 1978 il suo lavoro sulla lingua di Rimella che è il "Tittschu", un unicum che ancora viene approfondito per la sua singolarità di mescolanza tra lessico tedesco antico e strutture sintattiche italiane.